...solo i procedimenti, nei quali il subprocedimento della VAS fosse stato già attivato precedentemente si dovevano concludere secondo le norme previgenti, mentre se il subprocedimento di VAS non era stato ancora attivato, doveva applicarsi la nuova disciplina prevista con il decreto correttivo n. 4 del 2008 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2011, n. 2755; Consiglio di Stato Sez. IV, 26 settembre 2017, n. 4471).
... mentre il rigetto della istanza può essere motivato con riferimento alla mera non conformità urbanistica, l’ avvio del procedimento di variante urbanistica, con la indizione della conferenza di servizi, deve essere oggetto di specifica motivazione, essendo stato attribuito al Responsabile del procedimento il potere, discrezionale, di effettuare una prima valutazione sull’ avvio di tale procedimento relativo alla variante urbanistica, la cui competenza resta poi in capo al potere pianificatorio, ampiamente discrezionale, del Consiglio comunale (Cons. Stato Sez. IV, 22 novembre 2018, n. 6599; Sez. II, 10 luglio 2019, n. 4853)
... la VAS, in quanto passaggio endoprocedimentale, volto ad integrare le scelte discrezionali tipiche dei piani e dei programmi, al fine di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente sì da rendere compatibile l'attività antropica con le condizioni di sviluppo sostenibile, vada effettuata durante la fase di predisposizione dello stesso, o comunque anteriormente all'approvazione del piano o programma, essendo preordinata a garantire che gli impatti significativi sull'ambiente derivanti dall'attuazione dei detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione definitiva (Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 2014, n. 3645).
... la variante urbanistica, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998, non sia differente dalle ordinarie varianti al PRG, in quanto si tratta di un procedimento con la funzione di semplificare e rendere più celere la modifica dello strumento urbanistico al fine di favorire l'installazione di strutture produttive, ma che lascia in capo al Consiglio comunale tutti poteri di pianificazione urbanistica, con la conseguenza della sussistenza della ordinaria discrezionalità pianificatoria rispetto alla proposta di variante dello strumento urbanistico assunta dalla conferenza di servizi, da considerare alla stregua di un atto di impulso del procedimento volto alla variazione urbanistica non vincolante per il Consiglio comunale (Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2017, n. 940, id. Sez. IV, 28 agosto 2020, n. 5273; Sez. II, 28 agosto 2020, n. 5288).
... Corte Costituzionale ha affermato che la valutazione ambientale strategica attiene alla materia tutela dell'ambiente, in quanto “la valutazione ha ad oggetto unicamente profili di compatibilità ambientale e si pone solo come uno strumento conoscitivo e partecipativo nella scelta dell'autorità che propone il piano o programma, al solo fine di assicurare che venga salvaguardato e tutelato l'ambiente”, anche se “interviene nell'ambito di piani o programmi statali o regionali, che possono afferire a qualsiasi ambito materiale “(Corte costituzionale n. 225 del 2009); la Corte ha anche affermato che dalla attinenza della disciplina della valutazione ambientale strategica alla materia “tutela dell'ambiente”, di competenza esclusiva dello Stato, non deriva la esclusione di ogni competenza regionale, sottolineando la peculiarità della materia intrinsecamente “trasversale”, con la conseguenza che, in ordine alla stessa, “si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale” (sentenza n. 407 del 2002), e che “la competenza esclusiva dello Stato non è incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che si attengano alle proprie competenze” (sentenza n. 259 del 2004). La “trasversalità” della materia “tutela dell'ambiente” emerge, con particolare evidenza, con riguardo alla valutazione ambientale strategica, che abbraccia anche settori di sicura competenza regionale (Corte Cost. 398 del 2006 che ha escluso la illegittimità costituzionale di una legge regionale che conteneva norme non incidenti in campi di disciplina riservati allo Stato).
... costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell’espressione di un parere che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima. Ciò del resto è conforme alla stessa ratio ispiratrice della retrostante disciplina comunitaria, per la quale sono indifferenti gli specifici meccanismi escogitati dagli Stati membri, rilevando unicamente che essi siano idonei ad assicurare il risultato voluto di garantire l’integrazione delle considerazioni ambientali nella fase di elaborazione, predisposizione e adozione di un piano o programma destinato a incidere sul territorio… l’appartenenza alla competenza esclusiva dello Stato della materia relativa alla tutela dell’ambiente, a mente dell’art. 117, comma 2, lettera s), Cost. non impedisce che con tale competenza possano interferire anche prerogative regionali in diverse materie, quale quella del “governo del territorio” ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, ciò che a ben vedere è pressoché inevitabile in un settore quale è quello della V.A.S., che chiama in causa la potestà di pianificazione del territorio” (Consiglio di Stato IV, 12 gennaio 2011, n. 133).
La valutazione di assoggettabilità alla VAS, infatti, deve essere effettuata in base alla ratio della VAS di verifica “precauzionale e preventiva” e tenuto conto del livello di sensibilità ambientale dell'area oggetto di intervento (Cons. Stato Sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4926).
“allorché sia controversa la legittimità di un provvedimento fondato su una pluralità di ragioni di diritto tra loro indipendenti, l'accertamento dell'inattaccabilità anche di una sola di esse vale a sorreggere il provvedimento stesso, sì che diventano, in sede processuale, inammissibili per carenza di interesse le doglianze fatte valere avverso le restanti ragioni”(Consiglio Stato, sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2767; id. Sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4926).
La proposta di variazione dello strumento urbanistico assunta dalla conferenza di servizi è da considerare alla stregua di un atto di impulso del procedimento volto alla variazione urbanistica, e non è vincolante per il Consiglio comunale, che conserva le proprie attribuzioni e valuta autonomamente se aderirvi (Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2017, n. 940; id. Sez. IV, 28 agosto 2020, n. 5273).
A fronte della richiesta del privato di ampliare un impianto industriale, l'art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998 non consente di ipotizzare alcuna abdicazione dell'amministrazione resistente alla sua istituzionale potestà pianificatoria, sì da rendere l'approvazione della variante pressoché obbligatoria, restando al contrario integra per l’organo consiliare la possibilità di discostarsi motivatamente dalla determinazione iniziale adottata (Cons. Stato, Sez. IV, 4 novembre 2013, n. 5292; id. IV, 31 luglio 2009, n. 4828).
Ciò anche se nel corso della Conferenza il rappresentante del Comune abbia assunto posizione favorevole alla variante, circostanza che comunque non limita in alcun modo l'organo consiliare nelle sue determinazioni (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 luglio 2011, nr. 4498).
In tema di variante semplificata ex art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998, l’eventuale esito positivo della Conferenza di servizi non è in alcun modo vincolante per il Consiglio Comunale, il quale, siccome organo titolare della potestà pianificatoria, resta pienamente padrone della propria autonomia e discrezionalità, potendo discostarsi dalla proposta di variante e respingerla senza alcun dovere di motivazione puntuale o rafforzata, in quanto la determinazione conclusiva della Conferenza costituisce una mera “proposta” di variante, e non interferisce, quindi, con l'ordinario assetto dei rapporti fra proposta e approvazione in sede di pianificazione urbanistica, laddove è appunto al Consiglio Comunale che è riconosciuta la valutazione globale e definitiva anche in ordine alle complessive scelte di governo del territorio (Consiglio di Stato Sez. IV, 18 febbraio 2016, n. 650; C.G.A. 23 dicembre 2016, n. 479).
Pubblicato il 12/04/2021
N. 02941/2021REG.PROV.COLL.
N. 05733/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5733 del 2011, proposto dal Comune di Morrovalle, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato (...);
contro
(OMISSIS)
nei confronti
Regione Marche,
Provincia di Macerata,
Ministero dell'Interno, Comando dei Vigili del Fuoco di Macerata
Azienda Sanitaria Unica Regionale – Asur Marche
ARPAM-Dipartimento di Macerata,
Conferenza dei Servizi ex art. 5 DPR 447/98
Comitato per la Salvaguardia del Territorio di Morrovalle;
(...) anche quale Presidente del Comitato di Salvaguardia Legambiente Marche Onlus,
Azienda Medi di Mei Marco e C. Società Agricola,
(...)
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) n. 171/2010, resa tra le parti, concernente il diniego alla variante urbanistica per la realizzazione di uno stabilimento industriale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della (...);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 marzo 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti gli avvocati Stefano Filippetti, Giuseppe Carassai;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società (OMISSIS), l’8 febbraio 2008, aveva presentato allo Sportello unico per le attività produttive (SUAP) del Comune di Morrovalle, anche ai sensi dell’art. 5 del DPR 20 ottobre 1998, n. 447, la domanda di permesso di costruire per la realizzazione di un opificio industriale, destinato alla produzione di suole per calzature in poliuretano, gomma, TPU, TR, su fondi siti in via Donatello, ricadenti all’interno della zona P.I.P. “Terzo Millennio”, con destinazione nel piano regolatore generale DI “impianti industriali e artigianali”, per una superficie di 20.795 metri quadri; l’intervento richiedeva la variante allo strumento urbanistico, poiché la destinazione DI, in base all’art. 23 delle NTA del PRG, non consentiva l’insediamento di industrie insalubri di prima classe, ai sensi dell’art. 216 del r.d. 27 luglio 1934 n. 1265 e del D.M. 5 settembre 1994, per cui sarebbe stato necessario il mutamento della destinazione in zona DN “industrie nocive”, consentendo, altresì, un aumento di volumetria fino ad un massimo del 5%, rispetto a quanto previsto per le zone DN dall’art. 25 delle NTA, essendo prevista una superficie utile complessiva di 11967,21 metri quadri, nonché la possibilità di intervento diretto.
Il Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune, con provvedimento n. 187 del 18 aprile 2008, ha respinto l’istanza, non essendo compatibile l’intervento con la destinazione urbanistica dell’area; avviando il procedimento previsto dall’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998, con la convocazione della Conferenza di servizi.
Nella prima riunione della Conferenza di servizi, il 14 maggio 2008, veniva stabilito di sottoporre a valutazione ambientale strategica (VAS) il procedimento di variante; in tale riunione, il rappresentante dell’Azienda sanitaria indicava la necessità della VAS al fine di verificare il complessivo impatto dell’impianto, la necessità del parere ARPAM e la necessità di uno studio relativo alla situazione ambientale in relazione alla prevista emissione di 181 tonnellate per anno di solventi; l’ARPAM richiedeva l’adozione di sistemi alternativi rispetto all’utilizzo del percloroetilene nel ciclo produttivo.
Mentre la società adeguava il progetto secondo le indicazioni dell’ARPAM riguardanti l’uso del percloroetilene, il Responsabile del Servizio urbanistica del Comune, con la determina n. 634 del 18 novembre 2008, trattandosi di procedimento avviato prima del 12 febbraio 2008 e dovendosi, quindi, ritenere il Comune l’autorità competente a decidere sulla VAS, in relazione alle disposizioni del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 precedenti alle modifiche introdotte con il d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 escludeva l’assoggettabilità alla VAS.
Nella successiva seduta della Conferenza di servizi del 19 dicembre 2008 venivano acquisiti i pareri favorevoli dell’Azienda sanitaria e dei Vigili del Fuoco; il rappresentante dell’ARPAM dichiarava di non dovere esprimere alcun parere in tale fase, in quanto i pareri sarebbero stati espressi dalle autorità competenti al momento del rilascio delle autorizzazioni previste dalla normativa ambientale; nella seduta del 21 gennaio 2009, interveniva il parere favorevole con prescrizioni della Provincia di Macerata, ai sensi dell’art. 269 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Il 21 gennaio 2009 si concludevano i lavori della Conferenza di servizi con l’approvazione del progetto e con la proposta al Consiglio comunale di variante allo strumento urbanistico.
Con la delibera n. 2 del 20 febbraio 2009, il Consiglio comunale di Morrovalle respingeva la richiesta di variante urbanistica, in primo luogo, ritenendo che la Provincia dovesse esprimersi sulla VAS, essendo competente, ai sensi dell’art. 19 della legge regionale 12 giugno 2007, n. 6; riteneva poi inefficace il parere favorevole rispetto all’autorizzazione alle emissioni rilasciato dalla Provincia, in quanto condizionato all’acquisizione di pareri tecnici dell’ARPAM (in ordine alle emissioni, al piano di gestione dei solventi, alla idoneità degli impianti di abbattimento proposti, essendo previste immissioni nell’atmosfera di 181 tonnellate di solventi all’anno), dei Vigili del Fuoco, dell’ASUR e del Comune, non successivamente acquisiti; rilevava la esistenza di edifici di abitazione e di un parco giochi per bambini e una area di verde attrezzato ad una distanza inferiore ai 250 metri dall’impianto; nonché la mancata prova da parte della società ricorrente circa la non pericolosità dell’impianto, ai sensi dell’art. 216 T.U.L.S.
Avverso tale delibera e avverso tutti gli atti presupposti, compresa la determina del 18 aprile 2008 con cui il Responsabile del Servizio urbanistica aveva negato il provvedimento autorizzatorio, avviando il procedimento per la variante urbanistica, nonché avverso gli artt. 23 e 25 delle NTA, se interpretati nel senso di impedire l’intervento, la società (OMISSIS) ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale delle Marche, proponendo le seguenti censure:
-violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del D.Lgs. n. 152/2006, nella versione previgente alla novella di cui al D.Lgs. n. 4/2008, e dell’art. 12 nella nuove versione, dell’art. 19 della legge regionale n. 6 del 2007 e della delibera della Giunta regionale n. 561 del 14 aprile 2008, sostenendo che alla domanda in questione, presentata l’8 febbraio 2008, sarebbe stato applicabile l’art. 7 comma 5 del d.lgs. 152 del 2006 nella sua versione originaria, che prevedeva l’esame del Comune sull’assoggettabilità a VAS, prevalendo sulle disposizioni della legge regionale e che in tal senso si sarebbe espressa anche la Giunta regionale con la delibera n. 561 del 14 aprile 2008;
- violazione dell’art. 4 del D.P.R. 447 del 1998, dell’art. 269 del d.lgs. 152 del 2006, dell’art. 14 ter della legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti, con riferimento alle emissioni in atmosfera, contestando la natura condizionata del parere della Provincia, sostenendo il silenzio assenso dell’ARPAM e contestando il presupposto di fatto del dato relativo alle emissioni del quantitativo annuo di SOV-COV;
-violazione dell’art. 216 del r.d. 1265 del 1934, Testo unico delle leggi sanitarie, eccesso di potere per travisamento dei presupposti, in relazione alle distanze dall’abitato e per la dimostrazione della non nocività dell’impianto, con cui si deduceva che, anche se l’impianto era previsto in una area abitata, nel corso del procedimento si sarebbe raggiunta la prova della sua non nocività;
-eccesso di potere per carenza e insufficienza della motivazione, sviamento, incompetenza, violazione degli artt. 3 e 6 della legge n. 241 del 1990, sostenendo che nel procedimento di cui all’art. 5 DPR n. 447/1998 il Consiglio Comunale non potrebbe esaminare questioni di natura tecnica che siano state oggetto di approfondito vaglio da parte della conferenza di servizi, per cui, laddove intenda discostarsi dal parere favorevole espresso in quella sede, dovrebbe fornire adeguata motivazione, nella specie assente;
- violazione dell’art. 216 del r.d. 1265 del 1934, sviamento, violazione del principio di buon andamento e proporzionalità, in quanto, il Consiglio Comunale non avrebbe potuto in ogni caso rigettare l’istanza della ricorrente, ma al massimo rimettere gli atti alla conferenza di servizi per ulteriori approfondimenti istruttori e/o per l’imposizione di altre prescrizioni, qualora avesse ritenute effettivamente ravvisabili nella specie carenze istruttorie;
- eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione, violazione dell’art. 41 della Costituzione, dell’art. 3 della legge regionale n. 13 del 1990, violazione dell’art. 216 del r.d. 1265 del 1934 con cui si sosteneva l’illegittimità dell’emendamento approvato dal Consiglio Comunale, con il quale si confermava la destinazione DI della zona per non meglio precisate ragioni di interesse pubblico, contestando tale destinazione in quanto il Comune dovrebbe prevedere aree per collocare le industrie insalubri essendo le aree a ciò già destinate esaurite;
-violazione degli artt. 23 e 25 delle N.T.A, dell’art. 216 del TULS, deducendo che tali disposizioni avrebbero dovuto essere interpretate in conformità all’art. 216 del TULS, nel senso di consentire le industrie insalubri di prima classe non nocive; sostenendo la illegittimità delle stesse, qualora dovessero interpretarsi nel senso che le industrie insalubri potessero essere insediate solo in certe zone del territorio comunale (già sature), anche se sia dimostrata la non nocività degli impianti.
Nel giudizio di primo grado erano intervenuti ad opponendum alcuni soggetti residenti nella immediate vicinanze del costruendo impianto, alcuni gestori di attività economiche nella zona ritenute incompatibili con l’insediamento industriale per cui è causa, nonché rappresentanti di enti collettivi con finalità di tutela ambientale
Con la sentenza n. 171 del 20 aprile 2010, è stata dichiarata irricevibile l’impugnazione proposta avverso il provvedimento del Responsabile del Settore Urbanistica del 18 aprile 2008, di reiezione della istanza della domanda presentata dalla società (OMISSIS) per la non compatibilità con la destinazione urbanistica vigente, nonché avverso le NTA, ritenute dal giudice di primo grado chiaramente impeditive dell’intervento in questione, in quanto tali atti avrebbero dovuto essere tempestivamente impugnati nei sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento del 18 aprile 2008; è stata dichiarata inammissibile, per carenza di interesse, l’ impugnazione della decisione del C.C. di riconfermare la destinazione DI dell’area in questione, restando comunque tale destinazione vigente in base al PRG.
E’stato accolto il primo motivo di ricorso, in quanto, essendo stata presentata la domanda allo Sportello unico delle attività produttive l’8 febbraio 2008, si sarebbe dovuto applicare l’art. 7 comma 5 del d.lgs. 152 del 2006, nel testo allora vigente, che prevedeva la competenza del Comune sulla decisione di assoggettabilità a VAS; inoltre, il giudice di primo grado ha ritenuto non palesemente errata la decisione di non sottoporre a V.A.S. il progetto, in quanto l’impianto “dovrebbe sorgere in una zona che ospita già numerosi impianti produttivi”; è stato accolto anche il secondo motivo di ricorso con cui si contestava l’affermazione della delibera comunale circa l’inefficacia dell’autorizzazione alle emissioni rilasciata dal Settore Ambiente della Provincia; il giudice di primo grado ha, infatti, considerato che tale atto non fosse propriamente una autorizzazione, ma un parere, in quanto l’autorizzazione sarebbe stata rilasciata solo con l’autorizzazione unica rilasciata alla conclusione del procedimento dallo Sportello unico della attività produttive; il parere poi non sarebbe condizionato in senso tecnico-giuridico, in quanto la Provincia si era limitata a precisare che, laddove dovessero intervenire pareri difformi da parte dell’A.R.P.A.M. o di altri enti, i termini della questione avrebbero dovuto essere riesaminati dal Settore Ambiente; tale precisazione sarebbe superflua “essendo del tutto evidente che, laddove dovessero intervenire fatti nuovi, il S.U.A.P. dovrebbe acquisire nuovamente tutti i pareri, fra cui quello del Settore Ambiente”; inoltre, secondo il giudice di primo grado, il parere della Provincia era favorevole con prescrizioni, per cui il Consiglio Comunale avrebbe “equivocato sul senso della precisazione apposta nell’atto”; con riferimento alla mancanza del parere dell’ARPAM ha considerato una ipotesi di assenso tacito, in base alle norme relative al funzionamento della Conferenza di servizi. E’ stata accolta, altresì, la censura relativa alla violazione dell’art. 216 TULS, affermando che alcuna “disposizione stabilisce che le industrie insalubri debbono essere collocate ad una distanza minima rispetto ad insediamenti urbani”, ritenendo quindi irrilevante l’affermazione dell’ASUR circa la inesistenza nel raggio di 250 metri dall’area oggetto della domanda di (OMISSIS) di abitazioni o di altri agglomerati urbani; ha poi ritenuto che l’art. 216 del TULS debba essere letto in relazione alla evoluzione successiva dell’ordinamento, per cui dovendo ora il PRG prevedere zone destinate specificamente alle attività produttive, la collocazione delle industrie insalubri deve essere prevista in primo luogo nelle zone P.I.P., “tuttavia, una volta che le zone P.I.P. siano esaurite, riprende vigore la disposizione del T.U.L.S., in base alla quale le industrie insalubri possono essere allocate in ogni zona del territorio comunale - fatte salve quelle integralmente vincolate - a condizione che l’imprenditore fornisca la prova della non nocività dell’impianto”; sotto tale profilo ha ritenuto che non debba essere l’imprenditore a provare la non nocività dell’impianto, ma che “il progetto tecnico deve essere corredato di tutti gli elaborati previsti dalla normativa vigente ratione temporis in materia di tutela dell’ambiente, dal cui esame i tecnici della P.A. responsabili dell’istruttoria possano comprendere se l’impianto è dotato degli accorgimenti necessari ad evitare (o comunque ricondurre entro i limiti di legge) le emissioni nocive, …essendo “gli organismi tecnici della P.A. a dover stabilire se l’impianto è autorizzabile o meno, previa eventuale richiesta di integrazione documentale e/o imposizione di modifiche progettuali”, rilevando che, nel caso di specie, la conferenza di servizi aveva imposto importanti modifiche progettuali (l’eliminazione dal ciclo produttivo del percloroetilene e la quasi totale sostituzione delle tradizionali vernici con vernici a base di acqua), e alla fine si era espressa favorevolmente sul progetto; ha, poi, ritenuto che nel procedimento di variante urbanistica previsto dal D.P.R. 445 del 1997 il Consiglio comunale non abbia la medesima ampia discrezionalità del procedimento ordinario di variante urbanistica, ma che il diniego di approvazione della variante “debba fondarsi su adeguata istruttoria ed essere supportato da idonea motivazione, specie quando il Consiglio Comunale intenda mettere in dubbio le valutazioni di ordine tecnico espresse dalla conferenza di servizi”; ha quindi annullato la delibera del Consiglio comunale, facendo salvo il riesercizio del potere comunale con facoltà di sottoporre il progetto de quo a nuovi approfondimenti tecnici, prima di pronunciarsi nuovamente sulla proposta di variante urbanistica.
Avverso la sentenza è stato proposto il presente atto di appello dal Comune di Morrovalle per i seguenti motivi:
-violazione e falsa applicazione degli artt. 17 e 19 della legge regionale 12 giugno 2007, n. 6; violazione e falsa applicazione della direttiva 2001/42 del 27 giugno 2001; errata applicazione dell’art. 7 del d.lgs. 152 del 2006 con cui si sostiene che la competenza per la VAS fosse della Provincia e l’erroneità sul punto della decisione del giudice di primo grado, in quanto la legge regionale 12 giugno 2007, n. 6 aveva previsto espressamente la competenza della Provincia in materia di VAS relativa agli strumenti urbanistici comunali; che, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale, la materia della VAS, è una materia trasversale in cui vi sono vari livelli di competenze, tra cui quelle delle Regioni; in ogni caso, se il giudice di primo grado avesse ritenuto tale norma regionale incostituzionale avrebbe dovuto sollevare la questione di illegittimità costituzionale alla Corte costituzionale per la violazione dell’art. 117 Cost, non essendo disapplicabili le disposizioni delle leggi regionali; pertanto, la decisione del Servizio urbanistica del Comune in ordine alla VAS era stata adottata in difetto di competenza e anche di attribuzione, con conseguente nullità del provvedimento che, se non fosse stato disatteso, avrebbe viziato anche la delibera del Consiglio comunale;
- violazione e falsa applicazione degli artt. 17 e 19 della legge regionale 12 giugno 2007, n. 6; degli artt. 11 comma 5, 35 comma 2 ter del d.lgs. 152 del 2006 come modificato dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4; violazione e falsa applicazione della delibera della Giunta regionale delle Marche 20 ottobre 2008, n. 1400; dell’art. 5 comma 1 del D.P.R. 20 ottobre 2008, n. 447, travisamento, illogicità e contraddittorietà della motivazione, con cui si sostiene l’errore del giudice di primo grado, in quanto la VAS era comunque disciplinata dal d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo modificato dal d.lgs. 4 del 2008, dovendosi ritenere l’atto di avvio della variante urbanistica la determina del responsabile del Servizio urbanistica del 18 aprile 2008; peraltro, la domanda della (OMISSIS) era stata anche integrata alla data del 27 marzo 2008, per cui si dovrebbe al limite considerare tale data, ai fini dell’avvio del procedimento, con la conseguenza che il procedimento sarebbe stato comunque soggetto al regime della VAS introdotto dal d.lgs. n. 4 del 2008;
-violazione del principio di legalità, violazione dell’art. 97 della Costituzione; travisamento, illogicità, contraddittorietà della motivazione, con cui si contestano le argomentazioni del giudice di primo grado, che ha ritenuto da una parte che il Comune avrebbe comunque interpellato la Provincia dall’altra che la decisione di non procedere alla VAS non sarebbe stata palesemente errata essendo l’area in questione comunque occupata già da impianti produttivi, sostenendo la estraneità di tali argomentazioni rispetto al regime delle competenze attribuite dalla legge;
-violazione e falsa applicazione dell’art. 269 del d.lgs. 152 del 2006, eccesso di potere per illogicità e travisamento, con cui si contestano le affermazioni del giudice di primo grado circa la natura del parere reso dalla Provincia e si sostiene la natura condizionata di tale parere; a tale fine si cita la nota del Settore ambiente della Provincia del 19 dicembre 2008, in cui si era manifestato di non poter esprimere un parere, mancando il parere tecnico dell’ARPAM su emissioni, piano di gestione solventi e idoneità impianti di abbattimento; nel successivo parere del 20 gennaio 2009 il Settore ambiente aveva ribadito che avrebbe dovuto essere acquisito il parere tecnico dell’ARPAM;
-violazione e falsa applicazione degli artt. 14 ter e 14 quater della legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per illogicità e travisamento con cui si contestano le affermazioni del giudice di primo grado circa la configurabilità della astensione del rappresentante dell’ARPA nella conferenza di servizi del 21 gennaio 2009 come silenzio assenso;
-violazione e falsa applicazione dell’art. 216 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265; eccesso di potere per illogicità e travisamento, con cui si lamenta l’erroneità delle argomentazioni del giudice di primo grado circa la interpretazione della norma del testo unico delle leggi sanitarie, deducendo che l’impianto progettato dovrebbe essere realizzato nel centro abitato, in contrasto con le previsioni di legge;
-violazione e falsa applicazione dell’art. 216 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265; eccesso di potere per illogicità e travisamento, con cui si sostiene l’erroneità della sentenza in ordine alla prova della non nocività dell’impianto, sostenendo che, comunque, non vi sarebbe stata una completa valutazione dell’impianto progettato, mancando il parere della ARPAM sulle emissioni nocive.
La società (OMISSIS) ha proposto appello incidentale, impugnando il capo di sentenza, con cui è stata dichiarata la irricevibilità del gravame proposto avverso la determina del Responsabile del servizio urbanistica del 18 aprile 2008 e avverso gli artt. 23 e 25 delle NTA; sono stati poi riproposti i motivi di ricorso non espressamente esaminati dal giudice di primo grado.
In particolare, con il primo motivo di appello incidentale sono stati riproposti il quarto e il quinto motivo del ricorso di primo grado, con cui si sosteneva che il Consiglio comunale avrebbe potuto decidere solo sulla variante urbanistica, mentre, con riferimento agli aspetti tecnici dell’impianto, avrebbe potuto solo eventualmente sospendere il procedimento in attesa di nuova istruttoria, rimettendo gli atti al responsabile del procedimento. Con il secondo motivo di appello incidentale, si è contestata la tardività della impugnazione rivolta al provvedimento del 18 aprile 2008, sostenendo la natura endoprocedimentale di tale atto, con la conseguenza della tempestività del ricorso avverso tale atto e avverso le NTA su cui l’atto era basato, proposto al momento della definitiva conclusione del procedimento; in ogni caso, andrebbe concessa la rimessione in termini per errore scusabile, in quanto la società non aveva compreso che una parte del procedimento si era effettivamente concluso. E’ stato riproposto, altresì, il motivo di ricorso relativo alla interpretazione adeguatrice dell’art. 23 delle NTA, per cui dovrebbero essere escluse dalla zona DI solo le industrie insalubri di cui non sia accertata la non pericolosità; in caso di diversa interpretazione, sono state contestate le norme tecniche di attuazione, in quanto porrebbero un divieto assoluto di industrie insalubri in alcune aree del territorio comunale, in violazione della disposizione dell’art 216 del TULS, che prevederebbe una verifica in concreto circa la pericolosità dell’impianto. Con riferimento alla censura, dichiarata inammissibile, avverso la delibera del consiglio comunale, nella parte in cui aveva confermato la destinazione D1 si è dato atto di non avere più interesse alla censura avendo il giudice di primo grado affermato la natura meramente confermativa di tale destinazione, comunque prevista dal Piano regolatore.
Le altre parti del giudizio di primo grado non si sono costituite in giudizio.
Alla camera di consiglio del 30 agosto 2011 la difesa del Comune di Morrovalle ha rinunciato alla domanda cautelare di sospensione della sentenza impugnata.
Entrambe le difese hanno presentato memorie per l’udienza pubblica del 13 ottobre 2020, rappresentando, altresì, con apposita istanza, l’intervenuto fallimento della società (OMISSIS), con sentenza del Tribunale di Fermo del 17 agosto 2020, n. 19/2020, depositata in giudizio dalla difesa comunale, chiedendo l’interruzione del giudizio.
Con ordinanza n. 6429 del 23 ottobre 2020 è stata dichiarata l’interruzione del giudizio, successivamente riassunto dal Comune nei confronti del fallimento, che si è costituito, contestando, nella memoria successivamente depositata, la fondatezza dell’appello principale e sostenendo la fondatezza dell’appello incidentale.
Anche il Comune ha presentato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni difensive.
Entrambe le difese hanno presentato memoria di replica, insistendo nelle rispettive posizioni, e istanza di discussione orale.
All’udienza pubblica telematica del 19 gennaio 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, a seguito della discussione orale da remoto, l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con i primi due motivi di appello, il Comune di Morrovalle lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado con riguardo alla affermazione della competenza degli uffici comunali ad esprimersi sulla VAS.
La delibera del Consiglio comunale n. 2 del 2009, impugnata con il ricorso di primo grado, è basata, infatti, in primo luogo, sul presupposto della mancata valutazione ambientale strategica da parte della Provincia; pertanto, il Consiglio comunale ha escluso di potere esaminare la variante urbanistica, ritenendo inidonea a decidere sulla VAS la determina del responsabile del Servizio urbanistica del Comune del 18 novembre 2008, essendo competente alla VAS la Provincia di Macerata, ai sensi dell’art. 19 della legge regionale 7 del 2006, che aveva attribuito espressamente alle province la competenza in materia di VAS per gli strumenti urbanistici comunali.
Il giudice di primo grado ha considerato illegittima, sotto tale profilo, la delibera del Consiglio comunale, ritenendo sussistente la competenza comunale, sulla base del testo del d.gs n. 152 del 2006, precedente alle modifiche della legge n. 4 del 2008 - non superata dalla legge regionale n. 6 del 2007, sussistendo la competenza legislativa esclusiva statale in materia ambientale, ai sensi dell’art. 117 comma 2 lettera s) - applicabile in quanto il procedimento si doveva considerare iniziato l’8 febbraio 2008 con la presentazione della domanda della società (OMISSIS) allo Sportello unico per le attività produttive.
Il Comune di Morrovalle ha contestato con il primo motivo di appello tali affermazioni, sostenendo che in materia di VAS la Corte costituzionale ha affermato la competenza trasversale anche delle Regioni e che, in ogni caso, la legge regionale non avrebbe potuto essere disapplicata dovendo essere sollevata la questione di legittimità costituzionale.
Con il secondo motivo ha dedotto che la competenza della Provincia di Macerata sussisteva, comunque, in base al nuovo testo della d.lgs. 152 del 2006, introdotto nel 2008, applicabile dal 12 febbraio 2008, dovendosi fare riferimento all’avvio del procedimento di variante avvenuto in data 18 aprile 2008 a seguito del diniego del provvedimento ampliativo per contrasto con le norme urbanistiche.
Entrambi i motivi di appello sono fondati, ma nell’ordine logico delle questioni deve essere esaminato in via prioritaria il secondo motivo, riguardando la legge applicabile alla fattispecie in questione.
Ai sensi dell’art. 35 comma 2-ter del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto dalla legge n. 4 del 2008, quale norma transitoria, “le procedure di VAS e di VIA avviate precedentemente all'entrata in vigore del presente decreto sono concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell'avvio del procedimento”.
Tale disposizione, in base al dato letterale, non può che intendersi riferita all’avvio degli stessi procedimenti di VIA e di VAS e non ai procedimenti in cui tali procedure si svolgono.
In tale senso, si è più volte espressa la giurisprudenza di questo Consiglio, per cui la norma del comma 2 ter dell’art. 35 deve essere interpretata nel senso che solo i procedimenti, nei quali il subprocedimento della VAS fosse stato già attivato precedentemente si dovevano concludere secondo le norme previgenti, mentre se il subprocedimento di VAS non era stato ancora attivato, doveva applicarsi la nuova disciplina prevista con il decreto correttivo n. 4 del 2008 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2011, n. 2755; Consiglio di Stato Sez. IV, 26 settembre 2017, n. 4471).
Era, infatti, stata abrogata, con la legge n. 4 del 2008, altresì, la disposizione dell’art. 52 del d.lgs. 152 del 2006, che nella disciplina previgente prevedeva: “i procedimenti amministrativi in corso alla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto, nonché i procedimenti per i quali a tale data sia già stata formalmente presentata istanza introduttiva da parte dell'interessato, si concludono in conformità alle disposizioni ed alle attribuzioni di competenza in vigore all'epoca della presentazione di detta istanza”, norma di diritto transitorio - che avrebbe potuto probabilmente consentire l’interpretazione adottata dal giudice di primo grado (prescindendo, in questa sede, dalla questione della valutazione ai fini dell’avvio del procedimento della integrazione della domanda il 27 marzo 2008) - ma che non era, comunque, più in vigore al momento di avvio del procedimento di variante.
Infatti, si deve anche considerare che, nel caso di specie, il procedimento di variante urbanistica, da sottoporre alla VAS era stato avviato solo successivamente al 18 aprile 2008, a seguito del provvedimento del Responsabile del servizio urbanistica, che aveva negato l’atto autorizzativo, rilevando il contrasto del progetto con gli strumenti urbanistici vigenti.
Sotto tale profilo, si deve rilevare che il D.P.R. 447 del 1998, che conteneva norme di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l'ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, prevedeva espressamente all’art. 5 due procedimenti distinti.
Infatti, in base al primo comma dell’art. 5, “qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una variazione il responsabile del procedimento rigetta l’istanza”.
Da tale disposizione, deriva che, qualora il progetto presentato non sia consentito dalle norme urbanistiche comunali, il procedimento si conclude con il rigetto della istanza, con la conseguenza della chiusura del procedimento avviato con la presentazione della domanda da parte del privato, non sussistendo il presupposto fondamentale della compatibilità urbanistica per la realizzazione dell’intervento.
In base alla disposizione successiva “allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il Sindaco (ora il Responsabile del procedimento) può, motivatamente, convocare una conferenza di servizi, disciplinata dall'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall'articolo 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127 , per le conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso. Alla conferenza può intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell'impianto industriale.
2. Qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 17 agosto 1942, n. 1150, si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il consiglio comunale”.
E’ evidente, dunque, che solo con la convocazione della conferenza di servizi si apre un ulteriore e differente procedimento, al fine di arrivare alla proposta di variante al Consiglio comunale.
La giurisprudenza anche della Sezione ha poi affermato che, mentre il rigetto della istanza può essere motivato con riferimento alla mera non conformità urbanistica, l’ avvio del procedimento di variante urbanistica, con la indizione della conferenza di servizi, deve essere oggetto di specifica motivazione, essendo stato attribuito al Responsabile del procedimento il potere, discrezionale, di effettuare una prima valutazione sull’ avvio di tale procedimento relativo alla variante urbanistica, la cui competenza resta poi in capo al potere pianificatorio, ampiamente discrezionale, del Consiglio comunale (Cons. Stato Sez. IV, 22 novembre 2018, n. 6599; Sez. II, 10 luglio 2019, n. 4853).
Si tratta, quindi, chiaramente di due procedimenti distinti, per cui in alcun modo si poteva individuare la presentazione della originaria domanda dell’8 febbraio 2008, come determinante della disciplina legislativa applicabile, essendo, inoltre venuta meno, al momento di avvio del procedimento per la variante, la disciplina transitoria prevista dall’art. 52 del d.lgs. 152 del 2006 vigente fino al 12 febbraio 2008.
La sussistenza di due procedimenti differenti previsti dalle disposizioni dell’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998 è stata del resto presupposta dallo stesso giudice di primo grado, nel momento in cui ha dichiarato irricevibili le censure proposte con il ricorso di primo grado avverso il provvedimento del 18 aprile 2008 (e avverso le NTA ostative al permesso di costruire in quel momento conosciute), proprio sulla base della chiusura definitiva del procedimento di rilascio del titolo conforme agli strumenti urbanistici.
Poiché il procedimento di avvio della variante urbanistica, per cui era necessaria la valutazione in ordine alla VAS, non poteva ritenersi avviato prima del 18 aprile 2008, deve ritenersi l’erroneità del riferimento da parte del giudice di primo grado alla data di presentazione della domanda l’8 febbraio 2008.
Peraltro, con riferimento al procedimento di approvazione dei piani regolatori, deve richiamarsi, altresì, la disposizione dell’ art. 11 del d.lgs. 152 del 2006, come modificato dal d.lgs. n. 4 del 2008, che prevede al comma 1: “la valutazione ambientale strategica è avviata dall'autorità procedente contestualmente al processo di formazione del piano o programma”; al comma 3: “la fase di valutazione è effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua approvazione o all'avvio della relativa procedura legislativa. Essa è preordinata a garantire che gli impatti significativi sull'ambiente derivanti dall'attuazione di detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione”; al comma 5 “la VAS costituisce per i piani e programmi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione. I provvedimenti amministrativi di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge”.
Sulla base di tale disciplina, la giurisprudenza di questo Consiglio ha ritenuto che la VAS, in quanto passaggio endoprocedimentale, volto ad integrare le scelte discrezionali tipiche dei piani e dei programmi, al fine di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente sì da rendere compatibile l'attività antropica con le condizioni di sviluppo sostenibile, vada effettuata durante la fase di predisposizione dello stesso, o comunque anteriormente all'approvazione del piano o programma, essendo preordinata a garantire che gli impatti significativi sull'ambiente derivanti dall'attuazione dei detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione definitiva (Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 2014, n. 3645).
L’unico limite temporale inderogabile per l'espletamento della valutazione ambientale è, dunque, costituito dalla data di approvazione e non di adozione del piano, con la conseguenza della irrilevanza anche dell’avvio del procedimento di variante al PRG comunale, in epoca antecedente alla entrata in vigore del decreto correttivo del 2008, rilevando solo l’approvazione dello strumento urbanistico (Cons. Stato Sez. IV, 26 settembre 2019, n. 6438; Consiglio di Stato Sez. IV, n. 4471 del 2017, che ha ritenuto applicabile la disciplina della legge n. 4 del 2008, in caso di già avvenuta adozione del Piano regolatore in data anteriore al 13 febbraio 2008).
Il Collegio non ritiene di discostarsi da tale orientamento, la cui applicazione comporta, nel caso di specie, l’erroneità del riferimento da parte del giudice di primo grado alla avvenuta presentazione della domanda della società (OMISSIS) allo Sportello unico della attività produttive l’8 febbraio 2008.
Infatti, dal momento che, alla data del 13 febbraio 2008, di entrata in vigore della nuova disciplina del d.lgs. n. 4 del 2008, non era stata ancora attivato alcun procedimento di VAS, né ancora era stata esclusa l’assoggettabilità a VAS da parte del Responsabile del servizio urbanistica, la disciplina del d.lgs. n. 4 del 2008 doveva ritenersi integralmente applicabile, non essendo a tale data non solo completato il procedimento di variante, ma neppure ancora avviato.
Trattandosi di una variante urbanistica, anche se a seguito di un procedimento semplificato, dovevano, quindi, essere applicate le norme introdotte dal d.lgs. n. 4 del 2008, che al comma 2 dell’art. 7 prevedeva espressamente “sono sottoposti a VAS secondo le disposizioni delle leggi regionali, i piani e programmi di cui all'articolo 6, commi da 1 a 4, la cui approvazione compete alle regioni e province autonome o agli enti locali” ; al comma 6 disponeva: “in sede regionale, l'autorità competente è la pubblica amministrazione con compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale individuata secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle province autonome”; al comma 7 prevedeva che : “le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con proprie leggi e regolamenti le competenze proprie e quelle degli altri enti locali. Disciplinano inoltre:
a) i criteri per la individuazione degli enti locali territoriali interessati;
b) i criteri specifici per l'individuazione dei soggetti competenti in materia ambientale;
c) eventuali ulteriori modalità, rispetto a quelle indicate nel presente decreto, per l'individuazione dei piani e programmi o progetti da sottoporre alla disciplina del presente decreto, e per lo svolgimento della consultazione;
d) le modalità di partecipazione delle regioni e province autonome confinanti al processo di VAS, in coerenza con quanto stabilito dalle disposizioni nazionali in materia”.
Tale disciplina, quindi, attribuiva espressamente alle Regioni il potere di disciplinare competenze e procedimenti in materia di VAS, oltre a prevedere espressamente all’art. 6 che dovevano essere sottoposti a VAS tutti gli atti di pianificazione territoriale e di destinazione dei suoli.
Inoltre, anche considerando la natura della variante in questione, di natura puntuale, questa richiedeva, in base all’art. 6 comma 3 del d.lgs.152 del 2008, nel testo vigente a seguito del d.lgs. n. 4 del 2008, la valutazione di assoggettabilità a VAS, che avrebbe dovuto essere svolta dalla Provincia in base alla legge regionale.
Infatti, tale norma prevedeva: “per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale è necessaria qualora l'autorità competente valuti che producano impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12”
La giurisprudenza di questo Consiglio è costante nel ritenere che la variante urbanistica, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998, non sia differente dalle ordinarie varianti al PRG, in quanto si tratta di un procedimento con la funzione di semplificare e rendere più celere la modifica dello strumento urbanistico al fine di favorire l'installazione di strutture produttive, ma che lascia in capo al Consiglio comunale tutti poteri di pianificazione urbanistica, con la conseguenza della sussistenza della ordinaria discrezionalità pianificatoria rispetto alla proposta di variante dello strumento urbanistico assunta dalla conferenza di servizi, da considerare alla stregua di un atto di impulso del procedimento volto alla variazione urbanistica non vincolante per il Consiglio comunale (Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2017, n. 940, id. Sez. IV, 28 agosto 2020, n. 5273; Sez. II, 28 agosto 2020, n. 5288).
Nella Regione Marche erano già entrate in vigore le norme della legge regionale n. 6 del 2007, dettate al fine di dare attuazione alla direttiva 2001/42, “al fine di assicurare la valutazione ambientale strategica (VAS) dei piani e programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente e garantire l'integrazione di un elevato livello di protezione”, che disciplinavano espressamente il riparto di competenze all'effettuazione della VAS, indicando quale Autorità competente “a) la Regione per i piani e programmi regionali e degli enti da essa dipendenti o a rilevanza regionale;
b) la Provincia per i piani e programmi provinciali, intercomunali e degli enti pubblici diversi da quelli di cui alla lettera a), nonché per gli strumenti urbanistici generali dei Comuni”.
Pertanto, correttamente, il Consiglio comunale ha ritenuto che la Provincia dovesse procedere all’assoggettabilità a VAS.
La legge regionale era comunque applicabile anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 4 del 2008, in base alla espressa previsione dell’art. 35 comma 1 e 2 nel testo del d.lgs. n. 152 del 2006, modificato dal decreto correttivo, che disponevano: “le regioni adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni del presente decreto, entro dodici mesi dall'entrata in vigore. In mancanza di norme vigenti regionali trovano diretta applicazione le norme di cui al presente decreto.
2. Trascorso il termine di cui al comma 1, trovano diretta applicazione le disposizioni del presente decreto, ovvero le disposizioni regionali vigenti in quanto compatibili”. L’art. 19 della legge regionale della Marche era compatibile con le nuove disposizioni del d.lgs. 152 del 2006 e, comunque, avendo la Regione già adottato norme di attuazione della Direttiva 42 del 2001, con la legge regionale n. 6 del 2007, non era tenuta al successivo adeguamento, rimanendo in vigore le norme regionali vigenti compatibili.
Peraltro, la previsione dell’art. 19 della legge regionale avrebbe vincolato il Comune a fare eseguire la verifica di assoggettabilità alla Provincia, anche a ritenere applicabile la disciplina previgente, con ulteriore profilo di erroneità della sentenza di primo grado e fondatezza del primo motivo di appello.
Infatti, le previsioni della legge regionale non potevano ritenersi in contrasto con il riparto di competenze attribuito dalla Costituzione, né con l’art. 117 comma 2 lettera s), che prevede la competenza esclusiva dello Stato nella materia della tutela dell’ambiente.
Infatti, la Corte Costituzionale ha affermato che la valutazione ambientale strategica attiene alla materia tutela dell'ambiente, in quanto “la valutazione ha ad oggetto unicamente profili di compatibilità ambientale e si pone solo come uno strumento conoscitivo e partecipativo nella scelta dell'autorità che propone il piano o programma, al solo fine di assicurare che venga salvaguardato e tutelato l'ambiente”, anche se “interviene nell'ambito di piani o programmi statali o regionali, che possono afferire a qualsiasi ambito materiale “(Corte costituzionale n. 225 del 2009); la Corte ha anche affermato che dalla attinenza della disciplina della valutazione ambientale strategica alla materia “tutela dell'ambiente”, di competenza esclusiva dello Stato, non deriva la esclusione di ogni competenza regionale, sottolineando la peculiarità della materia intrinsecamente “trasversale”, con la conseguenza che, in ordine alla stessa, “si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale” (sentenza n. 407 del 2002), e che “la competenza esclusiva dello Stato non è incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che si attengano alle proprie competenze” (sentenza n. 259 del 2004). La “trasversalità” della materia “tutela dell'ambiente” emerge, con particolare evidenza, con riguardo alla valutazione ambientale strategica, che abbraccia anche settori di sicura competenza regionale (Corte Cost. 398 del 2006 che ha escluso la illegittimità costituzionale di una legge regionale che conteneva norme non incidenti in campi di disciplina riservati allo Stato).
Nel caso di specie, si doveva, dunque, valutare la legge regionale alla luce di tali indicazione della giurisprudenza costituzionale, rilevando che la competenza alla decisione in ordine all’assoggettabilità a VAS, nella disciplina statale allora vigente era indicata dall’art. 7 comma 5 con riferimento all’ “autorità competente all’approvazione del piano”; l’art. 5 definiva “autorità competente” “l'amministrazione cui compete, in base alla normativa vigente, l'adozione di un provvedimento conclusivo del procedimento o di una sua fase”; inoltre, ai sensi dell’art. 8 comma 2 del d.lgs. 152 del 2006 nel testo vigente prima del 13 febbraio 2008, “le procedure amministrative previste dal presente titolo sono integrate nelle procedure ordinarie in vigore per l'adozione ed approvazione dei piani e dei programmi”.
Sotto tale profilo, la legge regionale aveva solo proceduto alla individuazione del riparto di competenze, in base anche alle disposizioni regionali già vigenti, in materia urbanistica, per cui l’approvazione dei piani regolatori è attribuita nella Regione Marche sia al Comune che alla Provincia.
Infatti, la legge urbanistica della Regione Marche, 5 agosto 1992, n. 34 come modificata dalla legge regionale 16 agosto 2001, n. 19, prevede il procedimento di approvazione dello strumento urbanistico e delle sue varianti con il parere della Provincia e la successiva approvazione del consiglio comunale.
La legge regionale aveva, dunque, solo specificato tale riparto di competenze.
Pertanto, il riparto di competenza in base a criteri già vigenti, in ambito di competenza regionale, quale il governo del territorio, escludeva la violazione del riparto di materie indicato dall’art. 117 della Costituzione. Né si può ritenere rilevante, rispetto alla fattispecie in questione, la circostanza che il procedimento semplificato di cui all’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998 preveda l’approvazione della variante da parte del Consiglio comunale, rimanendo comunque ferme le competenze in materia urbanistica della regione e, quindi, nella Regione Marche, della Provincia, che si esprimono nella conferenza di servizi (cfr. Corte Cost. 206 del 2001, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultimo periodo dell’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998, “nella parte in cui prevede che, ove il progetto di insediamento contrasti con le previsioni di uno strumento urbanistico, la determinazione della conferenza di servizi costituisce, anche nell'ipotesi di dissenso della Regione, proposta di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale”).
In ogni caso, come rilevato nei motivi d’appello, in caso di supposta illegittimità costituzionale, il giudice di primo grado avrebbe dovuto sollevare la relativa questione per la violazione dell’art. 117 della Costituzione, non essendo inoltre neppure ravvisabile un immediato contrasto con la disciplina comunitaria, considerando che la direttiva 2001/42 non specificava le autorità competenti e prevedeva che la valutazione ambientale dovesse “essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura legislativa”.
Il Consiglio di Stato ha, infatti, già affermato, con orientamento da cui il Collegio non intende discostarsi nel caso di specie, che il d.lgs. 152 del 2006 “costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell’espressione di un parere che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima. Ciò del resto è conforme alla stessa ratio ispiratrice della retrostante disciplina comunitaria, per la quale sono indifferenti gli specifici meccanismi escogitati dagli Stati membri, rilevando unicamente che essi siano idonei ad assicurare il risultato voluto di garantire l’integrazione delle considerazioni ambientali nella fase di elaborazione, predisposizione e adozione di un piano o programma destinato a incidere sul territorio… l’appartenenza alla competenza esclusiva dello Stato della materia relativa alla tutela dell’ambiente, a mente dell’art. 117, comma 2, lettera s), Cost. non impedisce che con tale competenza possano interferire anche prerogative regionali in diverse materie, quale quella del “governo del territorio” ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, ciò che a ben vedere è pressoché inevitabile in un settore quale è quello della V.A.S., che chiama in causa la potestà di pianificazione del territorio” (Consiglio di Stato IV, 12 gennaio 2011, n. 133).
Erroneamente, dunque, il giudice di primo grado, ha ritenuto di poter disapplicare la legge regionale, che prevedeva la competenza della Provincia per la VAS in caso di variante urbanistica, con conseguente fondatezza anche del primo motivo di appello.
Inoltre, trattandosi di un subprocedimento all’interno del procedimento di approvazione della variante, il Consiglio comunale, ben poteva richiedere che si procedesse alla valutazione della VAS da parte della Provincia prima dell’ulteriore corso del procedimento, essendo comunque il Comune tenuto a rispettare il riparto di competenze previsto dalla legge regionale e tenuto conto che l’art. 12 del d.lgs. 152 del 2006 nel testo successivo al d.lgs. n. 4 del 2008, prevedeva una continua collaborazione tra “autorità competente” (definita nella disciplina successiva al d.lgs. n. 4 del 2008 “la pubblica amministrazione cui compete l'adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità, l'elaborazione del parere motivato, nel caso di valutazione di piani e programmi, e l'adozione dei provvedimenti conclusivi in materia di VIA, nel caso di progetti”) e “autorità procedente” (nella disciplina successiva al d.lgs. n. 4 del 2008 definita “la pubblica amministrazione che elabora il piano, programma soggetto alle disposizioni del presente decreto, ovvero nel caso in cui il soggetto che predispone il piano, programma sia un diverso soggetto pubblico o privato, la pubblica amministrazione che recepisce, adotta o approva il piano, programma”).
Il Consiglio comunale era tenuto, quindi, al rispetto al regime delle competenze attribuite dalla legge.
Pertanto, non si può neppure condividere quanto affermato dal giudice di primo grado circa la non palese erroneità del provvedimento del responsabile del servizio urbanistica, che aveva escluso la assoggettabilità alla VAS, essendo tenuto il Consiglio comunale a verificare anche la correttezza del procedimento seguito.
Ne deriva la fondatezza anche del terzo motivo di appello, con cui il Comune ha contestato le affermazioni del giudice di primo grado in ordine alla non palese erroneità della esclusione della VAS, essendo estranee alla questione della competenza ad effettuare la valutazione di assoggettabilità a VAS, senza considerare che, nel caso di specie, la variante riguardava la introduzione di una nuova area a destinazione DN relative a industrie nocive, consentendo una industria insalubre di prima classe, in area urbanizzata, con consistente aumento di volumetria, anche rispetto a quella consentita per la zona DN. La valutazione di assoggettabilità alla VAS, infatti, deve essere effettuata in base alla ratio della VAS di verifica “precauzionale e preventiva” e tenuto conto del livello di sensibilità ambientale dell'area oggetto di intervento (Cons. Stato Sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4926).
L’accoglimento di tali motivi di appello comporta già la riforma della sentenza di primo grado e la reiezione del ricorso di primo grado, essendo la motivazione relativa alla VAS contenuta nella delibera del Consiglio comunale idonea a sorreggere il diniego di variante.
Come è noto, per consolidata giurisprudenza “allorché sia controversa la legittimità di un provvedimento fondato su una pluralità di ragioni di diritto tra loro indipendenti, l'accertamento dell'inattaccabilità anche di una sola di esse vale a sorreggere il provvedimento stesso, sì che diventano, in sede processuale, inammissibili per carenza di interesse le doglianze fatte valere avverso le restanti ragioni”(Consiglio Stato, sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2767; id. Sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4926).
Per completezza ritiene il Collegio di esaminare, altresì, gli ulteriori motivi di appello, con i quali il la difesa comunale contesta le argomentazioni del giudice di primo grado, in ordine alle ulteriori censure del ricorso relative alla parte della motivazione della delibera comunale basata sulla insufficienza delle valutazioni istruttorie effettuate nel corso del procedimento, in particolare rispetto alla verifica delle emissioni e sulla vicinanza al centro abitato.
In particolare, con il quarto motivo di appello, il Comune lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 269 del d.lgs. 152 del 2006 e l’eccesso di potere per illogicità e travisamento, sostenendo che l’autorizzazione alle emissioni del Settore ambiente della Provincia del 20 gennaio 2009 fosse condizionata all’acquisizione di pareri mai resi nel successivo corso del procedimento e, quindi, effettivamente, inefficace, secondo quanto indicato dal Consiglio comunale nella delibera impugnata; il giudice di primo grado ha, invece, escluso il carattere condizionato di tale provvedimento, trattandosi di parere- favorevole con prescrizioni- non di autorizzazione alle emissioni, ai sensi dell’art. 269 del d.lgs. 152 del 2006, confluendo l’autorizzazione nel provvedimento finale del SUAP, mentre la precisazione della Provincia con riguardo ai parere eventualmente difformi era superflua rispetto al parere stesso.
Il motivo è fondato.
Nella nota del 19 dicembre 2008 per la conferenza di servizi il Settore urbanistica della Provincia, di raccordo di tutti gli altri Settori per la partecipazione alla conferenza di servizi, aveva dichiarato di non poter esprimere un parere, non essendo stata emanata dal Settore ambiente l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, a causa della mancata integrazione della documentazione richiesta alla società (OMISSIS), non essendo stata modificata la richiesta autorizzazione a seguito delle modifiche circa l’ uso del percloroetilente, e mancando il parere tecnico dell’ARPAM su emissioni, piano di gestione solventi e idoneità degli impianti di abbattimento, il parere del Comune, ai sensi del TULS e quello dell’ASUR 8 circa le emissioni diffuse presenti. Nella seduta del 21 gennaio 2009 il parere della Provincia veniva espresso in senso favorevole con il rispetto delle prescrizioni del Settore ambiente secondo la nota del 21 gennaio 2009, che si allegava al verbale; nel parere del 20 gennaio 2009, infatti, il Settore ambiente aveva “auspicato” l’acquisizione dei pareri tecnici, dell’ARPAM, dell’ASUR, dei Vigili del Fuoco e del Comune, per quanto riguardava gli aspetti indicati dal comma 3 dell’art. 269 del d.lgs. 152 del 2006, con la precisazione che “un parere negativo o una richiesta di integrazioni da parte di anche uno solo di questi presuppone la necessità di revisione del presente parere tecnico”; nel parere sono stati specificamente indicati i valori di emissioni da rispettare per ogni punto di emissione, richiamando per il punto 6 il parere dell’ASUR 8, che aveva richiesto il diverso posizionamento del punto E6 rispetto alla linea ferroviaria la fine di minimizzare i rischi in caso di incidente, le prescrizioni in ordine al piano di gestione dei solventi, le altre prescrizioni da osservare per il rispetto dell’ambiente e la salute dei lavoratori.
In primo luogo, si deve rilevare, che il parere reso dal Settore ambiente della Provincia, consiste proprio nel rilascio della autorizzazione prevista dall’art. 269 del d.lgs. 152 del 2006, solo che, in relazione al particolare tipo di procedimento con funzioni di semplificazione previsto dal D.P.R. 447 del 1998, tale autorizzazione è formalmente rilasciata solo alla conclusione del procedimento con il provvedimento finale dello Sportello unico delle attività produttive -, successivo alla variante- come confermato dalla durata dell’autorizzazione, fissata dalla Provincia nel parere del 20 gennaio in quindici anni (secondo la previsione dell’art.269), ma decorrenti dal rilascio dell’autorizzazione da parte del SUAP.
Il parere, dunque, come in effetti risulta dall’atto del Settore ambiente della Provincia, deve contenere tutte le indicazioni richieste dall’art. 269 ovvero, ai sensi dei commi 4 e segg. del testo allora vigente “4. L’autorizzazione stabilisce, ai sensi degli articoli 270 e 271: a) per le emissioni che risultano tecnicamente convogliagli, le modalità di captazione e di convogliamento;
b) per le emissioni convogliate o di cui è stato disposto il convogliamento, i valori limite di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi, i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite e la periodicità dei controlli di competenza del gestore;
c) per le emissioni diffuse, apposite prescrizioni finalizzate ad assicurarne il contenimento.
5. L'autorizzazione stabilisce il periodo che deve intercorrere tra la messa in esercizio e la messa a regime dell'impianto. La messa in esercizio deve essere comunicata all'autorità competente con un anticipo di almeno quindici giorni. L'autorizzazione stabilisce la data entro cui devono essere comunicati all'autorità competente i dati relativi alle emissioni effettuate in un periodo continuativo di marcia controllata di durata non inferiore a dieci giorni, decorrenti dalla messa a regime, e la durata di tale periodo, nonché il numero dei campionamenti da realizzare”.
Il parere espresso, nel caso di specie, pur con l’improprio riferimento all’espressione “si auspica”, richiedeva l’intervento dei pareri tecnici dell’ARPAM, dell’ASUR 8 e del Comune, ai sensi del comma 3 dell’art. 269 del d.lgs. 152 del 2006, condizionando espressamente il proprio parere ai pareri positivi degli altri soggetti indicati, indicando che “un parere negativo o una richiesta di integrazioni da parte di anche uno solo di questi presuppone la necessità di revisione del presente parere tecnico”.
Infatti, ai sensi del comma 3 dell’art. 269, nel procedimento ordinario, “ai fini del rilascio dell'autorizzazione, l'autorità competente indice, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel corso della quale si procede anche, in via istruttoria, ad un contestuale esame degli interessi coinvolti in altri procedimenti amministrativi e, in particolare, nei procedimenti svolti dal comune ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265”.
E’ evidente che, nel caso di specie, essendo già in corso la conferenza di servizi, questa non dovesse essere appositamente riconvocata, né dovessero essere espressi i pareri già resi nel corso del procedimento, dovevano essere invece acquisiti i pareri non ancora espressi nel corso del procedimento in corso.
Sotto tale profilo, si deve rilevare che già nel parere del Settore urbanistica della Provincia per la conferenza di servizi del 19 dicembre 2008 era stata evidenziata la mancanza del parere dell’ARPAM su emissioni, piano di gestione solventi e idoneità impianti di abbattimento, del parere del Comune, ai sensi del TULS, e quello dell’ASUR circa le emissioni diffuse presenti.
In particolare, con riguardo all’intervento dell’ARPAM, nella conferenza di servizi del 19 dicembre 2008, il rappresentante dell’ARPAM aveva dichiarato di non dovere esprimere alcun parere, in quanto i pareri di competenza sarebbero stati espressi al momento del rilascio delle relative autorizzazioni; tale posizione dell’ARPAM - evidentemente errata, in quanto nella conferenza sarebbero confluiti i vari procedimenti autorizzatori, tra cui l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera- è stata ribadito alla conferenza di servizi del 21 gennaio 2009, per cui il parere dell’ARPAM non risulta acquisito nel corso del procedimento in ordine alle emissioni, se non quello, espresso con la nota del 3 ottobre 2008 nell’ambito della assoggettabilità a VAS, che, peraltro, segnalava la possibilità della “presenza nell’aria nelle immediate vicinanze dell’impianto di composti volatili ( di verniciatura) in concentrazioni superiori al normale fondo ambiente” e quello, reso nella seduta della conferenza istruttoria del 14 maggio 2008, relativo alla esclusione del percloroetilene, per cui poi è stata presentata una modifica dei processi produttivi dalla società.
In maniera legittima, dunque, il Consiglio comunale ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per procedere all’approvazione della variante, non essendo completato il procedimento presupposto.
Infatti, l’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998 prevede la convocazione della conferenza di servizi per la variante, qualora “il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro”, configurando quindi tali aspetti come preliminari alla decisione del Consiglio comunale sulla proposta di variante, aspetti che, dunque, potevano, essere anche valutati dal Consiglio comunale, essendo la completezza del procedimento comunque un presupposto generale della sua decisione.
Non si può poi condividere la qualificazione della posizione della ARPAM operata dal giudice di primo grado, come silenzio assenso.
In primo luogo, come sopra già indicato, il comportamento dell’ARPAM non è stato inerte ma ha dichiarato espressamente di non potere esprimere un parere, equivocando evidentemente sulle fasi e le modalità di svolgimento del procedimento.
In ogni caso, l’art. 14 quater della legge n. 241 del 1990, vigente al momento di svolgimento della conferenza di servizi in questione prevedeva: “se il motivato dissenso è espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione è rimessa dall'amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) al Consiglio dei Ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali; b) alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata Conferenza Stato-regioni, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; c) alla Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali”.
Anche se tale norma si riferisce ad “amministrazioni” e non quindi ad un organo tecnico come l’ARPA, è espressione del principio generale, sottostante ai procedimenti di semplificazione previsti dalla legge n. 241 del 1990, per cui in alcune materie non possono configurarsi ipotesi di silenzio assenso.
Infatti, anche l’ art. 20 della legge n. 241 del 1990, nel testo vigente al momento di emanazione dei provvedimenti impugnati, escludeva l’applicazione delle disposizioni in materia di silenzio assenso “agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità”.
Inoltre, l’art. 17 della legge 241 del 1990, per cui “ove per disposizione espressa di legge o di regolamento sia previsto che per l'adozione di un provvedimento debbano essere preventivamente acquisite le valutazioni tecniche di organi od enti appositi”, esclude dalla previsione per cui “il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari” le “valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini”.
In nessun caso, quindi, il parere dell’ARPAM avrebbe potuto essere sostituito dal silenzio significativo di assenso.
Con gli ultimi motivi di appello la difesa comunale sostiene la violazione e falsa applicazione dell’art. 216 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 e l’eccesso di potere per illogicità e travisamento, contestando le argomentazioni del giudice di primo grado in relazione all’interpretazione e all’applicazione della norma del testo unico delle leggi sanitarie.
In particolare, la delibera impugnata, con particolare riferimento al parere dell’ASUR 8, che aveva escluso abitazione nel raggio di 250 metri, ha rilevato la presenza nei 250 metri dalla area dell’impianto di agglomerati residenziali di un area gioco per bambini di una area attrezzata per il gioco delle bocce, di altri insediamenti residenziali e produttivi; la mancanza del parere dell’ARPAM sulle emissioni e la criticità derivante dalla emissione in atmosfera di 181 tonnellate di solventi all’anno, non oggetto di una specifica prova circa la non nocività sulla salute degli abitanti.
Il giudice di primo grado ha ritenuto illegittima tale valutazione da parte del Consiglio comunale, in quanto nessuna disposizione stabilirebbe che le industrie insalubri debbano essere collocate ad una distanza minima rispetto ad insediamenti urbani e, comunque, non sussisterebbe un onere della prova a carico del richiedente circa la non pericolosità dell’impianto, ai sensi dell’art. 216 T.U.L.S. dovendo solo il progetto tecnico “essere corredato di tutti gli elaborati previsti dalla normativa vigente ratione temporis in materia di tutela dell’ambiente, dal cui esame i tecnici della P.A. responsabili dell’istruttoria possano comprendere se l’impianto è dotato degli accorgimenti necessari ad evitare (o comunque ricondurre entro i limiti di legge) le emissioni nocive”.
Sostiene il Comune, invece, che l’impianto progettato avrebbe dovuto essere realizzato nell’ambito di un centro abitato e che le norme dell’art. 216 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 impedirebbero tale realizzazione, mentre, in ogni caso, l’effetto dell’impianto non sarebbe stato compiutamente valutato, mancando il parere della ARPAM sulle emissioni nocive.
Anche tali motivi sono fondati.
Ai sensi dell’art. 216 del Testo unico delle leggi sanitarie “le manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti sono indicate in un elenco diviso in due classi. La prima classe comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontano dalle abitazioni; la seconda quelle che esigono speciali cautele per la incolumità del vicinato… Un industria o manifattura la quale sia iscritta nella prima classe, può essere permessa nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato”.
Il D.M. 5 settembre 1994, “Elenco delle industrie insalubri di cui all'art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie”, nell’allegato alla lettera B) della parte prima, che classifica le industrie insalubri di prima classe, in base ai “Prodotti e materiali e fasi interessate dell'attività industriale”, prevede quale industria insalubre quella di lavorazione della gomma sintetica.
Quale industria insalubre di prima classe, l’impianto in questione avrebbe dovuto, quindi, essere collocato in un posto isolato lontano dalle abitazioni, a meno che non fossero introdotti idonei accorgimenti per la tutela della salute.
Nel caso di specie, il Consiglio comunale ha rilevato che una tale valutazione circa la non pericolosità dell’ambiente, comunque non era possibile, in quanto non era stato reso il parere dell’ARPAM sulle emissioni e non vi era alcuno studio sull’impatto derivante dall’immissione in atmosfera di 181 tonnellate di solvente l’anno.
Tale valutazione non si può ritenere estranea all’ambito dei poteri del Consiglio comunale.
Infatti, anche a prescindere dalla esatta interpretazione della disposizione del TULS, circa il soggetto a cui carico sia l’onere della prova della non pericolosità per la salute, al fine collocare un impianto in zona abitata, tali circostanze di fatto potevano essere valutate dal Consiglio comunale in sede di approvazione della variante urbanistica.
Infatti, la variante era proprio tesa a consentire in una zona del territorio comunale destinata ad impianti produttivi, ma con espressa esclusione delle industrie insalubri di prima classe - per cui dunque il potere di pianificazione comunale si era già espresso in senso limitativo delle industrie insalubri di prima classe -uno stabilimento rientrante in tale categoria, per cui ovviamente era rilevante che l’area industriale fosse o meno collocata in una zona abitata.
Diversamente da quanto sostenuto dal giudice di primo grado, il consiglio comunale nell’approvazione della variante conserva integri i poteri di pianificazione comunale, potendo, quindi, nell’esercizio della propria discrezionalità approvare o meno la proposta di variante della conferenza di servizi, che non è vincolante.
La proposta di variazione dello strumento urbanistico assunta dalla conferenza di servizi è da considerare alla stregua di un atto di impulso del procedimento volto alla variazione urbanistica, e non è vincolante per il Consiglio comunale, che conserva le proprie attribuzioni e valuta autonomamente se aderirvi (Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2017, n. 940; id. Sez. IV, 28 agosto 2020, n. 5273).
A fronte della richiesta del privato di ampliare un impianto industriale, l'art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998 non consente di ipotizzare alcuna abdicazione dell'amministrazione resistente alla sua istituzionale potestà pianificatoria, sì da rendere l'approvazione della variante pressoché obbligatoria, restando al contrario integra per l’organo consiliare la possibilità di discostarsi motivatamente dalla determinazione iniziale adottata (Cons. Stato, Sez. IV, 4 novembre 2013, n. 5292; id. IV, 31 luglio 2009, n. 4828).
Ciò anche se nel corso della Conferenza il rappresentante del Comune abbia assunto posizione favorevole alla variante, circostanza che comunque non limita in alcun modo l'organo consiliare nelle sue determinazioni (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 luglio 2011, nr. 4498).
In tema di variante semplificata ex art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998, l’eventuale esito positivo della Conferenza di servizi non è in alcun modo vincolante per il Consiglio Comunale, il quale, siccome organo titolare della potestà pianificatoria, resta pienamente padrone della propria autonomia e discrezionalità, potendo discostarsi dalla proposta di variante e respingerla senza alcun dovere di motivazione puntuale o rafforzata, in quanto la determinazione conclusiva della Conferenza costituisce una mera “proposta” di variante, e non interferisce, quindi, con l'ordinario assetto dei rapporti fra proposta e approvazione in sede di pianificazione urbanistica, laddove è appunto al Consiglio Comunale che è riconosciuta la valutazione globale e definitiva anche in ordine alle complessive scelte di governo del territorio (Consiglio di Stato Sez. IV, 18 febbraio 2016, n. 650; C.G.A. 23 dicembre 2016, n. 479).
In tale ambito, di esercizio della discrezionalità, si deve anche inquadrare la parte della delibera relativa alla conferma della destinazione DI, che, seppure confermativa della destinazione del PRG comunque vigente, ha esplicitato la volontà del consiglio comunale di non approvare la variante, per non consentire deroghe al divieto delle industrie insalubri in tale zona industriale collocata in un’area abitata.
Sotto tale profilo, dunque, il Comune nell’esercizio della propria discrezionalità pianificatoria, poteva valutare tutte le circostanze relative alla vicinanza dell’impianto all’abitato, tenuto anche conto che l’art. 216 del TULS riferisce la valutazione ad un concetto, quello di “lontananza dalle abitazioni”, “spiccatamente duttile avuto riguardo, in particolare, alla tipologia di industria di cui concretamente si tratta” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 24 settembre 2013, n. 4687).
Anche sotto tali profili, l’appello principale è fondato e deve essere accolto.
Si deve, dunque, procedere ad esaminare l’appello incidentale proposto dalla società (OMISSIS).
Con il primo motivo di appello incidentale la società ha riproposto la censura del ricorso di primo grado, con la quale aveva sostenuto l’illegittimità della delibera del consiglio comunale, in quanto ravvisando un difetto di istruttoria, avrebbe dovuto non decidere sulla variante e rimettere gli atti al responsabile del procedimento per l’acquisizione delle ulteriori attività istruttorie.
Il motivo è infondato.
Premesso che la decisione del Consiglio comunale non impediva la successiva eventuale integrazione o riproposizione della domanda, in ogni caso, il Consiglio comunale ha respinto la proposta di variante, così come formulata nell’atto conclusivo della conferenza di servizi, dovendo decidere sulla proposta in base al procedimento delineato dal D.P.R. 447 del 1998.
Si deve, dunque, ritenere legittima la reiezione operata in base alle risultanze degli atti che concretavano la proposta di variante.
In ogni caso, il Consiglio comunale poteva valutare tutti gli aspetti anche preliminari della proposta di variante, compresa la conformità del progetto alle norme ambientali e di tutela della salute considerati quale presupposto della successiva variante dalla stessa disposizione dell’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998.
Con gli ulteriori motivi di appello incidentale si impugna il capo della sentenza di primo grado, con cui sono state dichiarate tardive le censure del ricorso di primo grado, indirizzate nei confronti della determina del Responsabile del servizio urbanistica del 18 aprile 2008, che aveva respinto la domanda di permesso di costruire per il contrasto con gli artt. 23 e 25 della NTA, sostenendo che tali disposizioni si dovessero interpretare nel senso di non impedire una industria insalubre non pericolosa; nonché avverso le NTA se interpretate diversamente.
Secondo la società (OMISSIS) il procedimento previsto dal D.P.R. 445 del 1998 era unico, con la conseguenza che il rigetto sarebbe stato impugnabile solo alla conclusione definitiva del procedimento, e, in ogni caso, spetterebbe alla società l’errore scusabile non avendo avuto contezza della effettiva conclusione del procedimento.
I motivi sono infondati.
Infatti, come sopra già evidenziato, la giurisprudenza è costante nel ritenere che si tratti due procedimenti distinti e che il primo procedimento si concluda con il rigetto da parte del responsabile del procedimento, il quale autonomamente valuta se aprire l’ulteriore procedimento per la proposta di variante urbanistica (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 22 novembre 2018, n. 6599; Sez. II, 10 luglio 2019, n. 4853, sopra citate).
Ne deriva che il provvedimento del Responsabile del servizio urbanistica avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnato, così come le NTA, il cui contrasto con l’intervento progettato era stato conosciuto, almeno con il provvedimento del 18 aprile 2008, se non precedentemente, risultando il contrasto con le norme tecniche di attuazione, già indicato nella domanda presentata l’8 febbraio 2008.
Né si può ritenere - non solo in base al dato letterale della norma dell’art. 5 del D.P.R. 447 del 1998 e alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, ma anche per l’oggettiva maggiore gravosità del procedimento, che si sarebbe avviato con la richiesta di variante connotato, inoltre dall’ampia discrezionalità del Consiglio comunale- che la parte non fosse in grado di comprendere l’immediata lesività del diniego del 18 aprile, il quale, peraltro, conteneva anche l’espressa indicazione del termine e dell’autorità giurisdizionale a cui ricorrere.
Pertanto, non sussiste alcuna ipotesi di errore scusabile.
In ogni caso, le censure, tardivamente proposte avverso il provvedimento del 18 aprile 2009 e avverso le NTA, riproposte con l’appello incidentale, sono anche infondate.
Infatti, l’art. 23 delle NTA escludeva espressamente nella zona DI le industrie insalubri di prima classe, mentre non si può condividere l’interpretazione sostenuta dalla società, per cui erano escluse solo le industrie insalubri per cui non fosse provata la non pericolosità.
Infatti, il riferimento operato dalle NTA del PRG alle industrie insalubri di prima classe, consentite solo nella zona DN, non può che essere riferito all’elenco contenuto nel D.M. 5 settembre 1994, che contiene l’elenco delle industrie insalubri, senza alcun rilievo alle effettiva valutazione di pericolosità in concreto.
Inoltre, l’intervento era comunque impedito anche dall’art. 25 delle NTA, in relazione ai limiti dimensionali posti da tale norma per gli interventi in zona DN, disposizione non contestata con specifici motivi di censura, con la conseguenza anche di un profilo di inammissibilità dei motivi relativi all’art. 23 delle NTA.
Il provvedimento del Responsabile del servizio urbanistica non poteva dunque che essere di rigetto.
Anche la censura riproposta con cui sono stati impugnati gli artt. 23 e 25 della NTA, sostenendo che tale disciplina sarebbe in contrasto con la valutazione di pericolosità in concreto prevista dall’art. 216 del TULS non può essere accolta.
Infatti, la norma del TULS, che riguarda i profili sanitari della tutela dell’abitato, non limita di per sé il potere pianificatorio del Comune che può individuare specifiche aree dell’abitato destinate a zone produttive e, in tale ambito, anche zone destinate a particolari tipi di industrie con maggiore impatto sull’ambiente circostante, anche in relazione alla collocazione di tali aree rispetto ai nuclei abitati.
Nel caso di specie, tale potere non appare neppure irragionevolmente esercitato, avendo previsto una specifica zona produttiva, destinata alle industrie insalubri di prima classe, e una zona DI, in cui sono consentiti impianti produttivi industriali e artigianali, con esclusione delle industrie insalubri di prima classe, considerato che si tratta di zona vicina ad abitazioni con la presenza anche di impianti artigianali.
Peraltro, alcuna censura è stata formulata avverso la previsione dell’art. 25 della NTA, che, comunque, avrebbe impedito l’intervento progettato, con conseguente carenza di interesse anche al motivo di appello incidentale relativo alla impugnazione delle NTA.
L’appello incidentale è, quindi, infondato e deve essere respinto.
In conclusione l’appello principale deve essere accolto, l’appello incidentale deve essere respinto; a tale decisione consegue la riforma della sentenza impugnata e la reiezione del ricorso di primo grado.
In considerazione della complessità e risalenza della vicenda le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, accoglie l’appello principale, respinge l’appello incidentale e per l’effetto, in riforma la sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2021 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Italo Volpe, Consigliere
Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore
Carla Ciuffetti, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Cecilia Altavista | Giulio Castriota Scanderbeg | |
IL SEGRETARIO