Pubblicato il 09/02/2024
N. 01349/2024REG.PROV.COLL.
N. 06619/2023 REG.RIC.
N. 06958/2023 REG.RIC.
N. 06986/2023 REG.RIC.
N. 07742/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
(OMISSIS)
FATTO
A. 1.- Con quattro distinti ricorsi, l’Associazione di Promozione Sociale Verdi Ambiente e Società – A.P.S. Onlus con la Casale Certosa Società Agricola Semplice e il signor (...), in proprio e nella sua qualità di Presidente del Comitato non riconosciuto “No inceneritore a Santa Palomba” (primo ricorso), da un lato, l’Associazione Forum Ambientalista ODV con la Società Agricola Ceglia (secondo ricorso), dall’altro, nonché i Comuni di Albano Laziale e di Ardea (terzo ricorso) e, infine, la U.S.T. - Uniti per la Salvaguardia del Territorio, con il Coordinamento delle Associazioni e Comitati di Quartiere “No Discariche No Inceneritori” (quarto ricorso), hanno impugnato dinanzi al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma:
- l’ordinanza n. 7 del 1 dicembre 2022 del Commissario Straordinario di Governo per il Giubileo della Chiesa Cattolica, pubblicata nella G.U. n. 302 del 28.12.2022, con la quale il Commissario straordinario ha disposto l’approvazione del Piano di Gestione dei Rifiuti di Roma Capitale e ha dichiarato la conclusione della procedura di Valutazione Ambientale Strategica (Vas) relativa al suddetto Piano approvando a tale fine i documenti correlati, quali il Rapporto ambientale, la Sintesi non Tecnica, la Dichiarazione di sintesi e i relativi allegati;
- l’ordinanza n. 8 del 1° dicembre 2022 del Commissario Straordinario di Governo per il Giubileo della Chiesa Cattolica pubblicata anch’essa nella G.U. n. 302 del 28.12.2022, con la quale il Commissario ha disposto la realizzazione di un impianto di termovalorizzazione autorizzato con operazione R1, di capacità di trattamento pari a 600.000 t/anno di rifiuti;
- gli atti presupposti e connessi indicati nella sentenza di primo grado da p. 5 a p. 10 cui si rinvia ai sensi dell’art. 3 c.p.a.
2.- Le parti sopra indicate hanno chiesto l’annullamento dei suddetti provvedimenti in quanto asseritamente affetti da vizi di violazione di legge e di eccesso di potere, come meglio specificati nella parte in fatto da p. 11 a p. 27 della sentenza appellata cui si rinvia, in applicazione del principio di sinteticità degli atti di cui all’art. 3 c.p.a.
Sono state prospettate anche questioni di legittimità costituzionale della disciplina legislativa primaria e formulate istanze di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 del Trattato UE, in materia di Valutazione ambientale strategica cd. Vas (Direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001) e di disciplina dei rifiuti (direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008).
3.- Con sentenza n. 12165 del 2023 il T.a.r. per il Lazio ha disposto la riunione dei predetti ricorsi e, all’esito di un approfondito esame dei motivi, li ha respinti nel merito, con articolata motivazione.
4.- Avverso tale sentenza sono stati proposti i seguenti quattro distinti appelli:
a) l’appello rubricato sub RG 6619 del 2023 proposto dall’Associazione di Promozione Sociale Verdi Ambiente e Società – A.P.S. Onlus con la Casale Certosa Società Agricola Semplice e il signor Alessandro Lepidini, in proprio e nella sua qualità di Presidente del Comitato non riconosciuto “No inceneritore a Santa Palomba”;
b) l’appello rubricato sub RG 6958 del 2023 proposto dall’Associazione Forum Ambientalista ODV con la Società Agricola Ceglia;
c) l’appello rubricato sub RG 6986 del 2023 proposto dai Comuni di Albano Laziale e di Ardea;
d) l’appello rubricato sub RG 7742 del 2023 proposto da U.S.T. - Uniti per la Salvaguardia del Territorio con il Coordinamento delle Associazioni e Comitati di Quartiere “No Discariche No Inceneritori”.
4.1.- In tutte le predette impugnazioni si sono costituiti Roma Capitale, la Città Metropolitana di Roma Capitale, la Regione Lazio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Sindaco di Roma in qualità di Commissario Straordinario per il Giubileo 2025, Ama S.p.A.
4.2.- I Comuni di Ariccia, Castel Gandolfo e Marino hanno spiegato intervento ad adiuvandum nel ricorso RG 6986 del 2023.
5.- Preso atto, alle camere di consiglio a tal fine fissate, della rinuncia alle domande cautelari articolate dalle parti appellanti, alla udienza pubblica del 30 novembre 2023 i quattro appelli sono stati trattenuti in decisione, previo deposito di memorie conclusive e di replica con le quali le parti hanno illustrato e precisato le rispettive tesi difensive.
DIRITTO
B.1.- La questione posta all’esame della Sezione attiene alla legittimità della decisione del Commissario Straordinario di Governo per il Giubileo della Chiesa Cattolica di approvare il Piano di Gestione dei Rifiuti di Roma Capitale e di prevedere la realizzazione, in località Santa Palomba, di un impianto di termovalorizzazione autorizzato con operazione R1, di capacità di trattamento pari a 600.000 t/anno di rifiuti, dopo avere preso atto delle favorevoli risultanze del procedimento di Vas.
2.- Ai sensi dell’art. 96, comma 1 c.p.a., deve essere disposta la riunione dei predetti quattro appelli in quanto proposti avverso la medesima sentenza del T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, 19 luglio 2023 n. 12165.
3.- Tutti i motivi di appello, variamente articolati con i quattro appelli, sono infondati e devono essere respinti.
4.- In via preliminare, deve rilevarsi che l’art. 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 ha previsto la nomina, con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell’art. 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, di un Commissario straordinario del Governo “al fine di assicurare gli interventi funzionali alle celebrazioni del Giubileo della Chiesa cattolica per il 2025”, che rimarrà in carica fino al 31 dicembre 2026.
Con d.P.R. 4 febbraio 2022 è stato nominato Commissario straordinario del Governo il Sindaco di Roma Capitale.
L’art. 13 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, articolo rubricato “Gestione dei rifiuti a Roma e altre misure per il Giubileo della Chiesa cattolica per il 2025”, ha disposto, al primo comma, quanto segue: “Il Commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, limitatamente al periodo del relativo mandato e con riferimento al territorio di Roma Capitale, tenuto anche conto di quanto disposto dall'articolo 114, terzo comma, della Costituzione, esercita le competenze assegnate alle Regioni ai sensi degli articoli 196 e 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e, in particolare:
a) predispone e adotta il piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale, nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 199 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e degli indirizzi del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti di cui all'articolo 198-bis del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006;
b) regolamenta le attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, anche pericolosi;
c) elabora e approva il piano per la bonifica delle aree inquinate;
d) approva i progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti, anche pericolosi, assicura la realizzazione di tali impianti e autorizza le modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di cui agli articoli 7, comma 4-bis e 195, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 152 del 2006;
e) autorizza l'esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, anche pericolosi, fatte salve le competenze statali di cui all'articolo 7, comma 4-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006”.
Il secondo comma del suddetto art. 13 ha previsto che, ai fini dell’esercizio dei suddetti compiti, “il Commissario, ove necessario, può provvedere a mezzo di ordinanza, sentita la Regione Lazio, in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, delle disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea”.
Il Commissario straordinario ha adottato gli atti impugnati, indicati nella parte in fatto.
C. Quanto all’appello RG 6619 del 2023, il rigetto si fonda sulle seguenti motivazioni.
1.- Con il primo motivo - relativo all’applicazione al giudizio di primo grado del rito speciale abbreviato previsto dall’art. 119, lett. c-bis) c.p.a. disposta dal T.a.r. - le appellanti hanno dedotto: “violazione di legge; error in procedendo; non corretta qualificazione della fattispecie di giudizio da parte del T.a.r. per il Lazio; contraddittorietà della motivazione”.
In particolare:
a) con riferimento al punto 1.2.3. della motivazione, assumono che la fissazione dell’udienza pubblica di merito al 5 luglio 2023, dopo oltre quattro mesi dalla camera di consiglio tenutasi il 22 febbraio 2023, non sarebbe rispettosa dei termini previsti dall’art. 119 c.p.a. per il rito accelerato. Inoltre, agli appellanti non sarebbe mai stato comunicato il mutamento del rito, né in sede di udienza camerale, né tanto meno con comunicazione di cancelleria, e, a differenza degli altri ricorrenti in primo grado, non sarebbe mai stata loro comunicata dalla cancelleria del T.a.r. per il Lazio neppure la necessità di integrazione del contributo unificato, posto che gli odierni appellanti avevano pagato il contributo ordinario di 650 euro;
b) con riferimento al punto 1.2.4. della motivazione, contestano la inconferenza delle argomentazioni del T.a.r. secondo cui l’applicazione del rito ex art. 119 c.p.a. non avrebbe comunque inciso sul diritto di difesa, rilevando che, se tempestivamente edotte del mutamente di rito, non avrebbero eccepito la tardività del deposito delle memorie avversarie;
c) con riferimento al punto 1.2.5. della motivazione, confutano gli argomenti utilizzati dal T.a.r. per giustificare la applicazione al caso di specie del rito abbreviato in forza della previsione di cui all’art. 119, comma 1, lettera c-bis, riferita ai “… provvedimenti adottati nell'esercizio dei poteri speciali inerenti alle attività di rilevanza strategica nei settori della difesa e della sicurezza nazionale e nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni” ed h) riferita alle “… ordinanze adottate in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e i consequenziali provvedimenti commissariali”;
d) rilevano, in particolare, che nel caso di specie l’oggetto del giudizio non è rappresentato dalla procedura di realizzazione di un impianto di incenerimento, ma dalla Vas e dalla contestuale individuazione del sito in cui dovrebbe sorgere l’impianto, ipotesi cui non sarebbe applicabile la previsione di cui alla lettera c-bis;
e) aggiungono che non sarebbe neppure applicabile il rito accelerato per i progetti finanziati dal Pnrr, secondo quanto previsto dall’art. 12-bis del d.l. 16 giugno 2022, n. 68, come introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge di conversione 5 agosto 2022, n. 108, erroneamente richiamato dal T.a.r., poiché l’inceneritore non è opera finanziata con i fondi Pnrr.
1.1.- Il motivo, nella sua complessa articolazione, è inammissibile per difetto di interesse poiché, come correttamente rilevato dal T.a.r., con affermazione di portata dirimente, “l’assoggettamento ai termini abbreviati ex art. 119 c.p.a. non ha precluso alle parti la più diffusa trattazione, con il deposito di articolate memorie, anche di replica, e quindi il più ampio esercizio delle prerogative defensionali”.
Gli appellanti, infatti, non sono incorsi in alcuna decadenza in conseguenza delle modalità con cui il T.a.r. ha optato per la trattazione del ricorso secondo il rito accelerato di cui all’art. 119 c.p.a., né hanno subito in altro modo una compressione del diritto di difesa, come dimostrato dalla circostanza per cui l’unica doglianza al riguardo prospettata è relativa all’avere erroneamente eccepito il tardivo deposito di memorie difensive avversarie, ipotesi che tuttavia non integra una limitazione del diritto di difesa ma, al più, l’inutile spiegamento di una minimale attività defensionale che non inficia le regole del giusto processo né la validità degli atti processuali compiuti.
Al contempo il mancato rispetto del termine di legge previsto, nel caso di rito accelerato, per la rapida fissazione dell’udienza pubblica, non è motivo di nullità della sentenza, trattandosi di termine ordinatorio, non presidiato da alcuna sanzione processuale.
A ciò si aggiunga che, non essendo stata neppure prospettata una violazione del contraddittorio o del diritto di difesa, un ipotetico accoglimento del motivo non potrebbe comunque comportare un annullamento della sentenza con rinvio al giudice di primo grado, a ciò ostandovi il carattere tassativo delle ipotesi previste dall’art. 105 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 5 settembre 2018, n. 14). Al contempo l’accertamento della insussistenza delle ipotesi di cui all’art. 119, comma 1, c.p.a. nel grado di appello si risolverebbe nella rimessione delle cause sul ruolo al solo fine di una nuova fissazione dell’udienza pubblica di discussione, senza il dimezzamento dei termini, previsto dall’art. 119, comma 2, c.p.a., per il deposito di documenti e memorie e di quello previsto per l’avviso di fissazione d’udienza.
In definitiva, per il principio generale del raggiungimento dello scopo, di cui all’art. 156 c.p.c. applicabile al processo amministrativo ai sensi dell’art. 39 c.p.a., poiché l’applicazione del rito abbreviato, anche al grado di appello, non ha comportato decadenze né limitazioni del diritto di difesa e tanto meno violazione del contraddittorio, l’accertamento della insussistenza delle ipotesi di cui all’art. 119, comma 1, c.p.a. si risolverebbe in una mera irregolarità che non giustifica neanche la remissione della causa sul ruolo al solo fine di disporre il mutamento del rito, in quanto opzione incompatibile con il principio di ragionevole durata del processo.
Il motivo deve pertanto essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse alla doglianza.
In ogni caso, nel merito, la controversia in esame rientra nell’ambito della lett. c-bis dell’art. 119 cod. proc., in quanto l’espressione “poteri speciali” deve intendersi riferita non soltanto ai poteri che si esercitano nell’ambito delle società che operano in determinati settori strategici ma anche ai poteri, come quello in esame, che attengono, per espressa previsione di legge (art. 13 del decreto-legge n. 50 del 2022), a “politiche energetiche nazionali”.
2.- Con un secondo motivo gli appellanti hanno dedotto: “omessa, parziale e comunque contraddittoria motivazione della sentenza di primo grado con riferimento alla richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati per violazione dell’art. 13, primo comma, lett. a) e d) e secondo comma del decreto-legge n. 50/2022, così come convertito nella legge n. 91/2022, con riferimento alla normativa europea rilevante, ossia la Direttiva n. 98/2008, in particolare, gli artt. 4 (c. d. “gerarchia dei rifiuti”) e 13; violazione del D.M. n. 257/2022 del Ministero per la Transizione Ecologica; violazione dell’art. 198-bis TUA”.
In particolare, si contesta la sentenza del T.a.r. nella parte in cui:
a) ha escluso che, nel caso di specie, la decisione di realizzare un inceneritore configurerebbe una violazione del c.d. principio della gerarchia dei rifiuti previsto dall’art. 4 della direttiva n. 98 del 2008 - quale vincolo inderogabile per il Commissario straordinario derivante dall’appartenenza all’Unione europea - muovendo dall’erroneo presupposto secondo cui la violazione del suddetto principio potrebbe essere prospettata solo rispetto al sistema nazionale di smaltimento dei rifiuti nel suo complesso ma non in modo parcellizzato, relativamente ad un singolo piano di gestione dei rifiuti di carattere locale, in linea con quanto chiarito da Corte di giustizia UE, sez. VI, 8 maggio 2019, n. 305;
b) non ha ritenuto sussistenti sul punto i presupposti per disporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 del Trattato, al fine di verificare la compatibilità della disciplina nazionale in contestazione con il suddetto principio in relazione ai seguenti quesiti:
“ - Dica la Corte di Giustizia dell’UE se gli artt. 4 e 13 della Direttiva n. 98/2008 ostano ad una normativa interna primaria – quale l’art. 13, primo comma, lett. a e d) e secondo comma del Decreto legge n. 50/2022, convertito con modifiche nella legge n. 91/2022, ed i relativi provvedimenti attuativi
del Commissario straordinario di Governo – che prevedono l’istituzione di un nuovo impianto di incenerimento dei rifiuti urbani sul territorio del Comune di Roma Capitale, posto che una simile procedura in deroga alla normativa ordinaria risulta non prevedere misure specifiche anche per quanto concerne impianti volti al trattamento dei rifiuti a fini di riciclo e riuso, che invece risultano essere preminenti nella “gerarchia dei rifiuti”, stabilita dalla succitata normativa europea;
– se non osta quanto sopra, in subordine, dica la Corte di Giustizia dell’UE se gli artt. 4 e 13 della Direttiva n. 98/2008 ostano ad una normativa interna primaria – quale l’art. 13, primo comma, lett. a e d) e secondo comma del Decreto legge n. 50/2022, convertito con modifiche nella legge n. 91/2022, ed i relativi provvedimenti attuativi del Commissario straordinario di Governo – che dia prevalenza agli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, al fine di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore, oltre che al fine di limitare il conferimento di rifiuti in discarica”.
Secondo gli appellanti i provvedimenti impugnati nel giudizio di primo grado si porrebbero in palese violazione proprio dei vincoli derivanti dal diritto dell’Unione europea - che neanche il Commissario straordinario potrebbe derogare - con specifico riferimento alla c.d. “gerarchia dei rifiuti”, la quale vincola gli Stati membri a porre in essere politiche in materia di rifiuti e ambientali improntate alla prevenzione, al riutilizzo, al riciclaggio e soltanto in ultima istanza allo smaltimento in discarica.
Si aggiunge che la “gerarchia dei rifiuti” consente ad uno Stato membro dell’Unione europea di porre in essere politiche e di adottare leggi in materia di gestione di rifiuti che contemplino la creazione di inceneritori, purché nei provvedimenti legislativi che autorizzano tali impianti siano al contempo presenti norme che implementino i livelli superiori della gerarchia dei rifiuti, in primis il riciclo, il riuso e dunque la raccolta differenziata, misure nella specie assenti.
Ciò in quanto se non si elevano i gradi superiori alla gerarchia di rifiuti, contestualmente all’approvazione di impianti di incenerimento, vi sarebbe il rischio di portare ad incenerimento rifiuti che possono comunque essere riciclati, riusati e quindi differenziati, in violazione proprio della “gerarchia dei rifiuti”.
2.1.- Il motivo, nelle sue varie articolazioni, non è fondato.
L’art. 4, della direttiva n. 98 del 2008, rubricato “Gerarchia dei rifiuti”, al paragrafo 1, prevede che: “1. La seguente gerarchia dei rifiuti si applica quale ordine di priorità della normativa e della politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e e) smaltimento”.
L’art. 3 della medesima direttiva, al n. 15 definisce il «recupero» come “qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale. L’allegato II riporta un elenco non esaustivo di operazioni di recupero”.
L’allegato II, tra le operazioni di recupero, contempla “R 1 Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (…)”; e, in nota, precisa “(…) Gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani sono compresi solo se la loro efficienza energetica è uguale o superiore a:….”.
L’art. 179 del d.lgs. 152 del 2006 dispone, al primo comma, che la gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia: “a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento”. Il secondo comma dispone che nel rispetto della gerarchia, devono essere adottate le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono “il miglior risultato complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica”.
Da quanto precede emerge che è la stessa direttiva europea di riferimento a contemplare espressamente, nell’ambito della gerarchia dei rifiuti, la possibilità del loro recupero come combustibile per la produzione di energia, attraverso impianti di incenerimento rispondenti a determinati parametri di efficienza energetica, nella specie non contestati.
Nel caso in esame la realizzazione dell’inceneritore rappresenta un intervento necessario proprio per dare attuazione al suddetto principio di gerarchia, riducendo il conferimento in discarica di rifiuti mediante il loro recupero come combustibile per la produzione di energia, con l’effetto di ridurre anche l’impatto ambientale derivante dal trasporto dei rifiuti indifferenziati finalizzato al loro smaltimento in discarica.
Gli appellanti oppongono che l’autorizzazione di un nuovo impianto di incenerimento per ritenersi legittima dovrebbe prevedere la contestuale implementazione di misure finalizzate a potenziare la prevenzione ed il riciclo, aumentando le percentuali di raccolta differenziata.
L’obiezione non ha pregio.
Il piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale approvato dal Commissario straordinario prevede anche, tra le altre, misure per incrementare le percentuali di raccolta differenziata, nel quadro pertanto di un intervento organico finalizzato ad una ottimizzazione complessiva del ciclo di gestione dei rifiuti nell’area metropolitana della Capitale.
Le difese dell’Avvocatura generale le illustrano nelle memorie in atti con dovizia di riferimenti al Piano approvato.
I principali Obiettivi e Azioni di Piano utilizzati per formulare lo “Scenario di piano” sono analizzati in particolare ai Capitoli 13 e 14 del piano e sono cosi sintetizzati a p. 158:
- Ottimizzazione della Logistica e Razionalizzazione del Servizio di Raccolta a scala di Municipio per eliminare i fenomeni di abbandono ed elevare la raccolta differenziata di tutte le frazioni: obiettivo di Piano Rd al 65% al 2030;
- Raccolta differenziata al 65% al 2030;
- Minimizzazione dello smaltimento a discarica degli scarti da Rd;
- Completamento della realizzazione dei Centri di raccolta;
- Realizzazione in Comune di Roma di due Impianti di selezione delle frazioni secche da Rd: carta, plastica, lattine, da 100.000 t/a ciascuno. Questi impianti sono realizzati adottando le Bat. Integrazione con il mercato e gestori terzi per le frazioni da Rd che richiedono un bacino più ampio di gestione, quali vetro, tessili e Raee;
- Realizzazione di due Impianti di gestione anaerobica per il recupero di energia e materia dalle frazioni organiche da Rr, della capacità di 100.000 t/a ciascuno. Questi impianti sono realizzati adottando le Bat;
-Realizzazione di un Impianto di Trattamento termico per il recupero diretto di energia dai rifiuti residui indifferenziati che adotta tecnologia di combustione consolidata, utilizza le BAT per il recupero energetico, per la riduzione e per il controllo delle emissioni in atmosfera e, in questa fase, prevede la progettazione di una tecnologia per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica ('carbon capture and storage');
- Recupero dei rifiuti ferrosi e delle scorie pesanti in uscita dal trattamento termico, queste ultime per la produzione di aggregati stradali o la vetrificazione di prodotti per l'edilizia.
Il primo obiettivo è poi chiaramente indicato nella riduzione della produzione di rifiuti attraverso l’adozione del Piano di Prevenzione Rifiuti del Comune di Roma e gli indirizzi forniti ai diversi attori sociali affinché adottino le migliori pratiche dell’economia circolare con le conseguenti azioni precisate nella sezione a ciò dedicata, in linea con la gerarchia dei rifiuti.
Seguono le azioni di potenziamento della raccolta differenziata e del recupero di materia, di frazione organica e di recupero energetico, analiticamente dettagliate (cfr. p. 146 – 151 del piano di gestione).
Inoltre, la previsione della realizzazione di un inceneritore, consentendo il recupero di rifiuti come combustibile per la produzione di energia rappresenta di per sé un miglioramento del ciclo di gestione perché riduce i conferimenti in discarica e l’impatto ambientale derivante dal trasporto presso impianti di recupero o di smaltimento non presenti nell’area di Roma Capitale.
Quanto alla obiezione secondo cui se non si elevano i gradi superiori alla gerarchia dei rifiuti “contestualmente” all’approvazione di impianti di incenerimento, il rischio è che si portino ad incenerimento rifiuti che possono comunque essere riciclati, riusati e quindi differenziati, in violazione proprio della “gerarchia dei rifiuti”, è sufficiente rilevare, in senso opposto (oltre quanto già osservato con valore dirimente circa i contenuti del piano), che, in mancanza di impianti di incenerimento, tali rifiuti sarebbero comunque conferiti in discarica, condizione certamente deteriore rispetto alla “gerarchia dei rifiuti” perché comporterebbe un appiattimento sul livello più basso – e quindi meno efficace rispetto alla tutela ambientale – del ciclo di gestione delineato a livello europeo.
Peraltro, deve rilevarsi che secondo quanto chiarito dalla Corte di giustizia UE con sentenza 8 maggio 2019 in causa C – 305/18 “…la gerarchia dei rifiuti costituisce un obiettivo che lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità, non obbligando questi ultimi ad optare per una specifica soluzione di prevenzione e gestione” (punto 29). Ciò anche in ragione del fatto che l’art. 4, comma 1, della direttiva rifiuti, come correttamente rilevato dal T.a.r. (cfr. 2.1), non introduce una disposizione immediatamente precettiva bensì “stabilisce la gerarchia dei rifiuti quale dev’essere attuata nella normativa e nella politica in materia di prevenzione e gestione di rifiuti” (punto 28).
Ciò che rileva, in definitiva, è che ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva “rifiuti”, nell’attuare il principio della “gerarchia dei rifiuti”, gli Stati membri adottino “misure volte a incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo” come accade, nel caso di specie, attraverso la predisposizione di misure atte a dotare Roma Capitale anche di un sistema impiantistico adeguato ed autosufficiente.
A tale ultimo riguardo, la Corte di giustizia, con sentenza 4 marzo 2010 in C – 297/08 ha precisato che gli Stati membri, in forza della direttiva 2006/12, “devono adoperarsi per disporre di una rete che consenta loro di soddisfare l’esigenza di impianti di smaltimento quanto più vicini possibile ai luoghi di produzione, ferma restando la possibilità di organizzare una rete siffatta nell’ambito di cooperazioni interregionali, o addirittura transfrontaliere, che rispondano al principio di prossimità” (punto 66). Ne consegue, anche in attuazione del principio di correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente, che “allorché uno Stato membro ha singolarmente scelto nell’ambito del suo piano o dei suoi «piani di gestione dei rifiuti» ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2006/12, di organizzare la copertura del suo territorio su base regionale, occorre dedurne che ogni Regione dotata di un piano regionale debba garantire, in linea di principio, il trattamento e lo smaltimento dei suoi rifiuti il più vicino possibile al luogo in cui vengono prodotti” (punto 67).
In merito al rapporto tra la termovalorizzazione e la gerarchia dei rifiuti la Commissione Ue ha inviato una comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 26 gennaio 2017 (COM2017 34 final) intitolata “Il ruolo della termovalorizzazione nell'economia circolare”, la quale si propone lo scopo principale di “garantire che il recupero di energia dai rifiuti nell’UE sostenga gli obiettivi del piano d’azione per l’economia circolare e sia pienamente coerente con la gerarchia dei rifiuti dell’UE.
Nelle conclusioni della predetta comunicazione si afferma che “i processi di termovalorizzazione possono svolgere un ruolo nella transizione a un’economia circolare a condizione che la gerarchia dei rifiuti dell’Ue funga da principio guida e che le scelte fatte non ostacolino il raggiungimento di livelli più elevati di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio”.
Nella specie il piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale si fa carico della necessità di “garantire che la pianificazione delle capacità di termovalorizzazione sia conforme e favorevole alla gerarchia dei rifiuti e tenga altresì conto del potenziale delle tecnologie nuove ed emergenti per il trattamento e il riciclaggio dei rifiuti”.
A p. 172 – 178 del predetto piano si giunge infatti alla stima della quantità di rifiuti da destinare a recupero energetico mediante l’incenerimento solo dopo aver quantificato in modo realistico l’impatto delle misure di riduzione della produzione di rifiuti (da 1.690.000 tonnellate/anno a 1.520.000 tonnellate a partire dal 2030), quelle di potenziamento della raccolta differenziata (sino al 70% a partire dal 2035) e quelle di recupero dei materiali (sino al 54,9% a partire dal 2035).
Alla tabella 18.1 di p. 177 si legge quanto segue:
“In riferimento alla capacità di trattamento necessaria per il recupero energetico diretto dai rifiuti residui indifferenziati mediante trattamento termico si osserva la notevole variazione dallo Stato di Fatto allo Scenario di Piano e allo Scenario Programmatico.
L'intervallo delle quantità da gestire che non possono essere avviate a recupero di materia sono:
-lo Stato di Fatto – con la RD a circa il 45% - configura una situazione gestionale in cui la necessità di avviare a recupero energetico diretto riguarda oltre 1 milione di tonnellate;
- lo Scenario di Piano nel Contesto Tendenziale, in cui la produzione di rifiuti rimane stabile attorno a 1.690.000 tonnellate/anno e la RD raggiunge 65%, richiede al 2030 una capacità di trattamento termico in grado di gestire oltre 790.000 t/a;
- lo Scenario di Piano Contesto Obiettivo, in cui la produzione di rifiuti si riduce a 1.550.000 tonnellate al 2030 e la RD raggiunge 65%, %, richiede al 2030 una capacità di trattamento termico in grado di gestire circa 730.000 t/a;
- al 2035, lo Scenario Programmatico nel Contesto Obiettivo, in cui la produzione di rifiuti si riduce a 1.520.000 tonnellate al 2030 e la RD raggiunge 70%, richiede una capacità di trattamento termico in grado di gestire circa 660.000 t/a.”.
Il Piano risulta, dunque, in linea con le cautele espresse dalla Commissione UE al fine di garantire la coerenza del recupero di energia dai rifiuti mediante termovalorizzazione con i livelli superiore della gerarchia dei rifiuti e introduce anche processi di trattamento maggiormente in linea con le finalità della economia circolare quali “la digestione anaerobica dei rifiuti biodegradabili”, secondo quanto auspicato dalla Commissione medesima. Alla luce del richiamato quadro istruttorio la scelta dell’inceneritore non risulta in contrasto con l’esigenza di potenziare i livelli superiore della gerarchia dei rifiuti ma si pone quale scelta necessaria per “chiudere” il ciclo dei rifiuti, evitando il conferimento in discarica.
Quanto precede evidenzia anche l’infondatezza della censura relativa al mancato rinvio alla Corte di giustizia UE della questione interpretativa prospettata ai sensi dell’art. 267 del Trattato.
La Corte di giustizia UE, sez IV, con ordinanza 15 dicembre 2022 in causa C-144/22 ha precisato che: “L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità laddove la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio. L’esistenza di una siffatta eventualità deve essere valutata in base alle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, alle difficoltà particolari relative alla sua interpretazione e al rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione europea. Tale giudice nazionale non è tenuto a dimostrare in maniera circostanziata che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione, ma deve aver maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei citati elementi, che la stessa evidenza si imponga anche agli altri giudici nazionali in parola e alla Corte”.
Al punto 44 della predetta ordinanza si afferma che: i) “la mera possibilità di effettuare una o diverse altre letture di una disposizione del diritto dell’Unione, nei limiti in cui nessuna di queste altre letture appaia sufficientemente plausibile al giudice nazionale interessato, segnatamente alla luce del contesto e della finalità di detta disposizione, nonché del sistema normativo in cui essa si inserisce, non può essere sufficiente per considerare che sussista un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta di tale disposizione”;ii) “quando l'esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti - in seno agli organi giurisdizionali di un medesimo Stato membro o tra organi giurisdizionali di Stati membri diversi - relativi all'interpretazione di una disposizione del diritto dell'Unione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale è portata a conoscenza del giudice nazionale di ultima istanza, esso deve prestare particolare attenzione nella sua valutazione riguardo a un'eventuale assenza di ragionevole dubbio quanto all'interpretazione corretta della disposizione dell'Unione di cui trattasi”.
Nella fattispecie in esame, da un lato, sono gli stessi appellanti a riconoscere che non è in contrasto con la normativa europea una normativa statale che preveda la realizzazione di un inceneritore (cfr. p. 15 dell’appello), dall’altro, quanto alla necessità che la sua realizzazione sia sempre inderogabilmente accompagnata da misure di necessaria implementazione dei livelli superiori della gerarchia dei rifiuti, quali il riciclo, il riuso e dunque della raccolta differenziata, la questione è irrilevante nel caso di specie poiché il piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale, approvato dal Commissario straordinario, ha espressamente previsto siffatte misure come sopra evidenziato, sebbene in percentuali ritenute insoddisfacenti dagli appellanti ma oggettivamente migliorative rispetto alla situazione esistente, con incrementi realistici proprio perché graduali e quindi organizzativamente sostenibili.
La questione interpretativa è anche manifestamente infondata poiché alcuna disposizione della direttiva rifiuti – per come interpretate dalle richiamate sentenze della Corte di giustizia UE – condiziona le operazioni di recupero di rifiuti per la produzione di energia alla contestuale adozione di misure finalizzate al miglioramento delle percentuali di raccolta differenziata, lasciando, al contrario, ampia discrezionalità agli Stati membri.
Non sussistono, in definitiva, i presupposti indicati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, sopra riportata, per vincolare il giudice nazionale di ultima istanza al rinvio.
Il Collegio è dell’avviso, infatti, che l’interpretazione delle pertinenti disposizioni richiamate si imponga con una evidenza tale e di portata generalizzata, anche alla luce dei precedenti specifici della Corte di giustizia, da doversi escludere ogni ragionevole dubbio circa la sua applicazione al caso di specie. In particolare, si ritiene che la medesima evidenza si imporrebbe altresì agli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e alla stessa Corte (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, punto 40 e giurisprudenza ivi citata). Occorre, inoltre, porre in rilievo che non è stata segnalata dalle parti né risulta al Collegio “l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti” relativamente all’interpretazione di normative europee applicabili nel caso in esame.
Si tenga conto, infine, che l’Italia nel passato è stata ripetutamente condannata dalla Corte di giustizia proprio per la mancanza di una rete impiantistica di recupero e smaltimento adeguata, in termini di autosufficienza e prossimità.
A quanto precede nulla aggiunge l’esistenza di una procedura di preinfrazione avviata dalla Commissione (caso EU Pilot 2019/9541) sulla gestione dei rifiuti della Regione Lazio e a Roma che, proprio in quanto non ancora sfociata, a distanza di cinque anni, nella fase contenziosa, conferma, allo stato, l’assenza di profili di violazione del diritto europeo in materia di gestione dei rifiuti e rende evidente piuttosto l’intendimento della Commissione di acquisire le informazioni necessarie a verificare e a monitorare l’efficacia delle misure in corso di adozione da parte della autorità nazionali competenti.
In ogni caso, le appellanti nulla hanno potuto dedurre circa la rilevanza della predetta procedura ai fini del rinvio pregiudiziale nei termini prospettati. In particolare, l’esame della documentazione depositata in primo grado comprova l’esistenza di una richiesta di informazioni da parte della Commissione UE sulle modalità di gestione del ciclo dei rifiuti nella Regione Lazio e nel territorio di Roma Capitale anche in ordine alla autosufficienza impiantistica ma non anche una presa di posizione ostativa alla realizzazione dell’inceneritore.
La censura deve, pertanto, essere respinta, nel suo complesso.
3.- Con il terzo motivo gli appellanti hanno dedotto: “omessa, parziale e comunque contraddittoria motivazione della sentenza di primo grado con riferimento alla richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati per eccesso di potere; carenza istruttoria; violazione dell’art. 199, terzo comma, lett. d) ed l) del TUA; violazione dell’art. 13, secondo comma del Decreto legge n. 50/2022 in ragione della violazione della Direttiva n. 42/2001 (c.d. “Direttiva Vas), per quanto concerne l’individuazione dell’immobile su cui verrà costruito l’impianto di termovalorizzazione del Comune di Roma Capitale”.
In particolare, si lamenta che il T.a.r. non avrebbe motivato in punto di diritto sulla dedotta illegittimità della individuazione preventiva e dell’acquisto, in data 24 novembre 2022, da parte di AMA s.p.a. dell’immobile dove localizzare l’inceneritore, mentre la procedura di Vas era ancora in corso, per poi perfezionarsi in data 1° dicembre 2022 con la pubblicazione del piano definitivo di gestione dei rifiuti. Analogo difetto di motivazione sussisterebbe con riferimento al contrasto - evidenziato dagli odierni appellanti, con specifica doglianza - tra i provvedimenti impugnati e la Direttiva Vas n. 42/2001, rispetto alla quale era pure stata prospettata una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte UE, del pari disattesa dal T.a.r.
In particolare, si assume che la individuazione del sito, avvenuta con l’ordinanza n. 8, contestualmente alla approvazione del piano di gestione dei rifiuti, disposta con l’ordinanza n. 7, sarebbe tale da vanificare l’effetto utile della direttiva Vas, non avendo, di fatto, il commissario straordinario potuto tenere conto delle risultanze della Vas ai fini della individuazione del sito, peraltro – come sottolineato – già acquistato da AMA s.p.a. in pendenza della Vas medesima.
3.1.- Il motivo non è fondato.
L’art. 4, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 150 prevede che la Vas ha lo scopo di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione, dell’adozione e dell’approvazione di piani e programmi “assicurando che siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile”.
Si tratta di un procedimento che comprende “lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità, l’elaborazione del rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni, l’espressione di un parere motivato, l’informazione sulla decisione ed il monitoraggio” (art. 5, comma 1, lett. a).
Nella fattispecie in esame, quanto alla posizione di AMA s.p.a., nessuna disposizione di legge le precludeva la ricerca e l’acquisto del terreno in pendenza della Vas.
A.M.A. s.p.a. ha certamente assunto il rischio di acquistare un immobile che avrebbe potuto successivamente rivelarsi privo delle caratteristiche prescritte dal piano di gestione e quindi dalla Vas ma tale modus procedendi, peraltro dettato da evidenti ragioni di urgenza, non inficia la legittimità della ordinanza commissariale che lo ha formalmente individuato ai fini della localizzazione dell’impianto.
Inoltre, in relazione ai provvedimenti adottati dal Commissario straordinario, la contestualità tra la approvazione del piano di gestione dei rifiuti, all’esito della Vas, e la individuazione del terreno dove localizzare l’impianto non determina una elusione dell’effetto utile della direttiva Vas poiché quest’ultima ha ad oggetto il “piano” di gestione dei rifiuti, non il terreno prescelto per la localizzazione dell’inceneritore, rispetto al quale può predicarsi una eventuale inidoneità o non conformità rispetto alle previsioni del piano ma non rispetto alle risultanze della Vas che concernono i contenuti del “piano”.
Per questo motivo non era necessario (cfr. p. 23 dell’appello) inserire nell’ordinanza n. 8 del 2022 del Commissario straordinario alcun riferimento ai contenuti sostanziali Vas che rappresenta un presupposto giustificativo della adozione del piano di gestione dei rifiuti ma non del provvedimento di individuazione del sito di localizzazione dell’inceneritore che la Vas condiziona solo in via mediata attraverso le previsioni del piano.
Merita, dunque, conferma quanto affermato dal T.a.r., al punto 2.9, allorquando afferma che: “l’individuazione preventiva di un’area e l’acquisizione della stessa da parte di AMA S.p.A., ancor prima dell’adozione del Piano in discussione, non è di per sé motivo di illegittimità degli atti impugnati, assumendo rilievo esclusivo l’area individuata per la realizzazione dell’impianto rispetti i criteri indicati nel Piano e le previsioni di settore (id est, normativa nazionale ed europea), di cui si è dato conto supra”.
In particolare, nulla è stata dedotto dagli appellanti circa una eventuale inidoneità del terreno prescelto rispetto alle caratteristiche indicate nel piano di gestione dei rifiuti.
La contestualità temporale di adozione delle due ordinanze commissariali su cui insistono gli appellanti nulla dice, infatti, dal punto di vista sostanziale e quindi della legittimità degli atti, circa le caratteristiche del sito rispetto alle finalità di tutela ambientale evidenziate dalla Vas e recepite dal piano di gestione.
Individuare, lo stesso giorno in cui si conclude la Vas e si approva il piano di gestione dei rifiuti, il sito in cui verrà costruito l’impianto non significa prescindere necessariamente dalle risultanze della Vas, degradando tale procedura ad una mera formalità e ratificando decisioni già prese dall’A.M.A., come affermano gli appellanti, poiché la ricerca di mercato di A.M.A. ha potuto comunque giovarsi sia delle risultanze della proposta di piano pubblicata sino dal mese di agosto 2022 sia di quelle emergenti dal procedimento dinamico di Vas, come sviluppatosi nel tempo, in via concomitante alla approvazione definitiva del piano intervenuta in data 1° dicembre 2022, trattandosi peraltro di indagini condotte da uffici coordinati dal sindaco di Roma Capitale che, pur nella distinzione dei ruoli, hanno potuto dialogare e condividere le informazioni rilevanti, favorendo la adozione di decisioni contestuali attraverso il coordinamento di procedimenti collegati.
Ciò è confermato dalla circostanza per cui l’acquisto è stato formalizzato in data 24 novembre 2022, appena una settimana prima della pubblicazione del piano di gestione dei rifiuti, quando cioè le risultanze della Vas erano presumibilmente note ed era possibile verificare la sussistenza di eventuali criticità in relazione al sito prescelto. Si consideri, in particolare, che il parere motivato reso sul Piano di gestione rifiuti di Roma Capitale dalla Città metropolitana di Roma Capitale, quale Autorità competente, è stato adottato con determinazione dirigenziale numero 3350 del 18 novembre 2022, dunque prima del perfezionamento dell’acquisto.
Del resto, sono le stesse appellanti a convenire con la difesa di A.M.A. sul fatto che nella normativa interna vigente, così come del resto nella Direttiva VAS, non sia prevista una norma che obbliga ad attendere l’adozione della Vas prima di procedere all’individuazione delle aree idonee alla costruzione di un impianto, così come avvenuto nel caso di specie.
Tuttavia, partendo da tale constatazione, gli appellanti individuano una lacuna nel sistema, non giustificabile per esigenze di economia procedimentale e, conseguentemente, un motivo per insistere, in via subordinata, sulla necessità di disporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE ai sensi dell’art. 267 del Trattato per chiarire: “se gli artt. 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 della Direttiva n. 42/2001, anche in combinato disposto tra di loro, ostino all’applicazione di una normativa interna primaria – quale l’art. 13, primo comma, lett. a e d) e secondo comma del Decreto legge n. 50/2022, convertito con modifiche nella legge n. 91/2022, ed i relativi provvedimenti attuativi del Commissario straordinario di Governo – che nel prevedere una procedura in deroga rispetto alla normativa interna in materia ambientale, stabiliscano l’istituzione di un nuovo impianto di incenerimento dei rifiuti urbani sul territorio del Comune di Roma Capitale e consentano al Commissario straordinario di Governo di recepire la scelta di un soggetto privato quale è A.M.A. S.p.A. nell’individuazione del sito ove si dovrà costruire l’immobile, contestualmente alla chiusura della procedura Vas e alla pubblicazione del piano definitivo di gestione dei rifiuti urbani”.
La questione, tuttavia, per i motivi esposti, è manifestamente infondata, oltre che irrilevante poiché la direttiva Vas ha per oggetto i piani ed i programmi ambientali mentre ogni decisione che si discosti dalle risultanze della Vas, per come recepite dal piano, è contestabile attraverso i mezzi di ricorso previsti dagli ordinamenti nazionali. Tuttavia, nel caso di specie gli appellanti non hanno dedotto alcuna violazione sostanziale delle risultanze della Vas, per come recepite dal piano di gestione dei rifiuti, in cui sarebbe incorso il commissario straordinario nella adozione della ordinanza n. 8 con cui è stato individuato il sito prescelto da AMA per localizzare l’inceneritore. Inoltre, come si è rilevato, la contestualità delle decisioni non è incompatibile con la possibilità che la scelta del sito sia avvenuta in conformità con le risultanze del procedimento di Vas via via emergenti, trattandosi di procedimenti collegati e svolti in modo coordinato dagli uffici tecnici di Roma Capitale e della Città metropolitana di Roma, sotto la regia unitaria del sindaco di Roma Capitale, nella qualità di commissario straordinario per il Giubileo.
Ne discende che il motivo deve essere respinto anche in relazione alla richiesta di rinvio pregiudiziale per le stesse motivazioni indicate al punto C) 2.1
4.- Con il quarto motivo gli appellanti hanno dedotto: “omessa, parziale e comunque contraddittoria motivazione della sentenza di primo grado con riferimento alla richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati per incompetenza; eccesso di potere; carenza di istruttoria; violazione delle competenze legislative esclusive dello Stato e delle relative funzioni amministrative assegnate dall’art. 13 del Decreto legge n. 53/2022 al Commissario straordinario di governo in materia ambientale, ai sensi degli artt. 117, secondo comma, lett. s) e 118, primo comma Cost.; violazione dell’art. 13, primo comma, lett. a) e d) e secondo comma del Decreto legge n. 53/2022, come convertito nella legge n. 91/2022 da parte dell’art. 4, primo e secondo comma della legge della Regione Lazio n. 14/2022. In subordine: questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, primo e secondo comma della legge della Regione Lazio n. 14/2022, con riferimento agli artt. 3, 9, terzo comma, 97, 117, secondo comma, lett. s) e 118, primo comma Cost.”.
In particolare, si lamenta che il T.a.r. avrebbe motivato in modo insufficiente la doglianza con la quale è stata dedotta l‘illegittimità delle ordinanze commissariali impugnate nella parte in cui richiamano l’art. 4 della legge della Regione Lazio 25 luglio 2022, n. 14 (Disciplina degli enti di governo d’ambito territoriale ottimale per la gestione integrata dei rifiuti urbani) che, in materia riservata alla legislazione statale esclusiva (quella dell’ambiente, ex art. 117, comma 2, lett. s, Cost. cui è ascrivibile la gestione dei rifiuti) e comunque alla competenza esclusiva del commissario del Governo per il Giubileo, ai sensi dell’art. 13 del decreto-legge n. 50 del 2022, avrebbe attribuito a Roma Capitale l’esercizio delle funzioni amministrative concernenti la gestione dei rifiuti urbani nel proprio territorio, istituendo al contempo due nuovi Ato, uno per il territorio di Roma Capitale e uno per il restante territorio della Città metropolitana di Roma Capitale, per la gestione in forma separata del servizio di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani nei rispettivi territori.
Da tale premessa si deduce che le predette ordinanze commissariali sarebbero viziate da eccesso di potere e da incompetenza per essere state adottate ai sensi della predetta legge regionale anziché in forza dei poteri commissariali conferiti dall’art. 13 del decreto-legge n. 50 del 2022. In ogni caso, ove le stesse fossero ritenute legittime, chiedono che sia sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, primo e secondo comma, della legge della Regione Lazio n. 14 del 2022, per violazione degli artt. 3, 9, secondo comma, 97, 117, primo comma, lett. s) e 118, primo comma Cost., avendo la Regione Lazio subdelegato a Roma Capitale funzioni amministrative attribuite dalla legge statale al livello regionale e comunque istituito due nuovi Ato in fattispecie riservata alla competenza commissariale.
4.1.- Il motivo non è fondato.
Sul piano costituzionale, la giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la disciplina dei rifiuti attiene alla materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, riservata, in base all’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., alla competenza esclusiva dello Stato e che la suddetta materia ha valenza trasversale, intrecciando altri interessi e competenze anche regionali (Corte cost. 11 luglio 2018, n. 151). In particolare, si è affermato che le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale fungono da limite invalicabile per quegli interventi normativi che le Regioni e le Province autonome dettano in materie di loro competenza.
Sul piano della legislazione statale, il settore dei rifiuti è disciplinato nella Parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006 e l’art. 196, precisa la stessa Corte costituzionale, con la sentenza sopra citata, ha attribuito alle Regioni una serie di poteri, tra i quali, l’individuazione dei luoghi o degli impianti idonei allo smaltimento dei rifiuti, l’indicazione dei criteri per la determinazione delle aree non idonee a tale localizzazione e, soprattutto, l’adozione del piano regionale di gestione dei rifiuti, nel quale è ricompresa la delimitazione nel territorio regionale, su richiesta dei Comuni, di “ambiti ottimali” per la gestione integrata dei rifiuti; attribuzione, quest’ultima, che si collega strettamente alle competenze regionali in materia di «governo del territorio»”.
L’art. 13 del decreto-legge n. 50 del 2022, sopra già citato, dispone che il Commissario straordinario del Governo, tra l’altro, predispone e adotta il piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale.
Si tratta di provvedimenti del commissario di Governo cui la legge statale ha riservato ogni funzione amministrativa in materia di gestione dei rifiuti nel “territorio di Roma capitale”, qualificato ex lege quale ambito territoriale ottimale al fine di perimetrare la porzione di territorio assoggettata al piano di gestione dei rifiuti ed a tutte le misure attuative per la gestione del ciclo dei rifiuti di quell’ambito. Avendo lo Stato competenza legislativa esclusiva in materia di ambiente, lo stesso è altresì legittimato ad individuare, in ossequio ai principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione di cui all’art. 118 Cost., il livello istituzionale di governo cui allocare le funzioni amministrative.
Sul piano della legislazione regionale, la legge regionale n. 14 del 2022 all’art. 4, rubricato “Disposizioni per la gestione dei rifiuti nel territorio di Roma Capitale”, prevede: i) “Roma Capitale esercita le funzioni concernenti la gestione dei rifiuti urbani nel proprio territorio secondo le modalità organizzative definite ai sensi del rispettivo ordinamento e nel rispetto dei principi previsti dalla presente legge e di quanto stabilito dal d.lgs. 152/2006 e dall’articolo 13 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50; ii) “la Regione, entro il termine previsto al comma 1, adegua il Piano regionale di gestione dei rifiuti individuando due distinti Ato, uno per il territorio di Roma Capitale e uno per il restante territorio della Città metropolitana di Roma Capitale, per la gestione in forma separata del servizio di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani nei rispettivi territori”.
Nella fattispecie in esame, non sussiste un vizio di legittimità delle ordinanze impugnate per contrasto con il sistema di riparto delle competenze legislativa, in quanto tali ordinanze rinvengono la loro base legale nell’art. 13 del decreto-legge n. 50 del 2022.
Il fatto che la legge regionale in esame possa, a sua volta, avere attribuito - nella prospettiva degli appellanti in modo illegittimo - le medesime funzioni amministrative a Roma capitale, istituendo al contempo due nuovi Ato (in realtà solo quello di Roma Capitale, rispetto al piano regionale di gestione dei rifiuti della Regione Lazio approvato con deliberazione del Consiglio regionale 5 agosto 2020, n. 4), in materia di competenza legislativa statale esclusiva, non comporta la illegittimità delle predette ordinanze proprio in quanto dotate di autonoma base legale rappresentata, come sottolineato, dall’art. 13 del decreto-legge n. 50 del 2022.
Da tale premessa discende la irrilevanza della dedotta questione di legittimità costituzionale per invasione di una materia di competenza legislativa statale esclusiva – quella dell’ambiente – in quanto la eventuale caducazione dell’art. 4 della legge della Regione Lazio n. 15 del 2022 non determina la illegittimità delle ordinanze commissariali che trovano la propria autonoma fonte di legittimazione nella disciplina statale dell’organo commissariale rappresentata dall’art. 13 del decreto-legge n. 50 del 2022. Quest’ultima disposizione, con efficacia derogatoria di ogni disposizione di legge nazionale in materia di rifiuti (ad esclusione della legge penale), ha, per l’appunto, legittimato il commissario ad adottare il piano di gestione dei rifiuti di Roma capitale, definendo anche il relativo ambito territoriale di riferimento entro cui il piano e le relative misure attuative produrranno i loro effetti.
Peraltro, la dedotta invasione della sfera di competenza legislativa statale esclusiva non sussiste poiché l’art. 4, comma 1, della legge della Regione Lazio n. 15 del 2022 nel disporre che “Roma Capitale esercita le funzioni concernenti la gestione dei rifiuti urbani nel proprio territorio secondo le modalità organizzative definite ai sensi del rispettivo ordinamento e nel rispetto dei principi previsti dalla presente legge e di quanto stabilito dal d.lgs. 152/2006 e dall’articolo 13 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50”, sostanzialmente si limita a conformare l’ordinamento regionale a quello statale, anche con specifico riferimento alla disciplina emergenziale introdotta “dall’articolo 13 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50” ivi espressamente richiamata, intendendosi in tal modo riconoscere una chiara prevalenza a tale normativa statale.
Ciò è confermato anche dal secondo comma del predetto articolo 4 dove il legislatore regionale, lungi dal voler interferire con le prerogative commissariali, ha piuttosto operato, ex lege, i necessari adeguamenti per raccordare il piano regionale di gestione dei rifiuti con le modifiche introdotte dalla sopravvenuta normativa statale relativa a Roma Capitale che prefigurava un diverso assetto organizzativo, attraverso la previsione di un Ato ad hoc per Roma capitale e, conseguentemente, di un piano di gestione dei rifiuti dedicato a tale nuovo ambito territoriale, da coordinare, del pari, con il livello della programmazione regionale.
A conferma di quanto precede si evidenzia che l’art. 13 del decreto-legge n. 50 del 2022 stabilisce espressamente che il Commissario straordinario di Governo esercita le competenze assegnate alle Regioni ai sensi dell’art. 196 del d.lgs. n. 152 del 2006 e quindi anche quelle previste alle lett. a), b) e g) – sebbene limitatamente al territorio di Roma Capitale - ossia: “lett. a) la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d'ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti, di cui all’articolo 199; lett. b) la regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani […]; lett. g) la delimitazione, nel rispetto delle linee guida generali di cui all'articolo 195, comma 1, lettera m), degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani”.
Di tanto la Regione Lazio ha preso atto, conformando dunque la disciplina regionale a quella statale sopravvenuta e, in particolare, adeguando il piano regionale di gestione dei rifiuti alla nuova previsione di un autonomo Ato per il territorio di Roma Capitale.
Ed è in questo senso che nelle premesse giustificative delle ordinanze impugnate vi è anche un richiamo all’art. 4 della legge regionale n. 14 del 2022, da intendersi dunque non quale base legale del potere attribuito ma quale disciplina regionale di riferimento entro cui il potere di ordinanza dell’organo statale viene a collocarsi e con la quale era necessario operare un raccordo organico e coerente.
E’ dunque erronea la tesi degli appellanti secondo cui sarebbe stata la legge regionale n. 14 del 2022, richiamata nelle premesse di entrambe le ordinanze, ad operare, con l’art. 4, la perimetrazione dell’Ato del Comune di Roma sulla cui scorta è stata poi definita l’area di afferenza interessata dalla Vas e, conseguentemente, è stato individuato il sito per la localizzazione del termovalorizzatore. E’ stato, infatti, il legislatore nazionale, con il citato art. 13 del decreto-legge n. 50 del 2022 ad individuare, di fatto, tale Ato dal momento che ha attribuito al commissario straordinario tutti i poteri che l’art. 196 del T.U.A. attribuisce alle Regioni, limitandoli tuttavia al “territorio di Roma capitale” che rappresenta dunque l’ambito territoriale ottimale di riferimento anche per la predisposizione del piano di gestione dei rifiuti e quindi per la Vas nonché per la individuazione del sito dove localizzare l’impianto.
La successiva legge regionale della regione Lazio n. 14 del 2022 si è invece limitata a prendere atto di tale circostanza, prescrivendo, di conseguenza, l’aggiornamento del piano regionale di gestione dei rifiuti ed enucleando dall’Ato della Città metropolitana di Roma, già previsto dal piano regionale, il nuovo Ato di Roma capitale previsto dal legislatore statale per definire il campo di operatività del commissario straordinario “tenuto anche conto di quanto disposto dall'articolo 114, terzo comma, della Costituzione” (cfr. art. 13, comma 1, del decreto legge n. 50 del 2022) secondo cui “Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.”.
Si aggiunga che, alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, la stessa delimitazione degli ambiti ottimali per la gestione integrata dei Comuni è ricompresa nella competenza regionale, con l’effetto che la relativa legislazione in materia non può ritenersi priva di valido titolo di attribuzione costituzionale sebbene la stessa, in forza del criterio di specialità, debba considerarsi recessiva rispetto alla legislazione statale nelle ipotesi di cui all’art. 114, comma 3, Cost. e quindi anche nell’ipotesi di cui all’art. 13 del decreto legge n. 50 del 2022, salva in ogni caso l’attrazione in sussidiarietà al livello statale ex art. 118 Cost.
Da quanto precede discende che parimenti irrilevante è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 136, prospettata dal difensore degli appellanti nel corso della discussione in pubblica udienza. Tale norma prevede che “Sono fatte salve le disposizioni regionali, vigenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, che hanno trasferito le funzioni amministrative predette”.
Il Collegio rileva che il tema della legittimità della sanatoria, con asserite “leggi provvedimento”, delle leggi regionali che abbiano conferito ai Comuni competenze in materia di gestione dei rifiuti, riservata alla competenza legislativa statale (che le ha invece allocate al livello regionale) o che abbiano invaso la competenza statale in materia riservata, non è idonea a dispiegare alcun effetto viziante della legittimità delle ordinanze commissariali in quanto adottate sulla base di una distinta ed autonoma previsione di legge statale rappresentata, come detto, dall’art. 13 del decreto legge n. 50 del 2022.
La questione è anche manifestamente infondata in quanto, come evidenziato, con l’art. 4 della legge regionale n. 14 del 2022 la Regione Lazio si è limitata a prendere atto della decisione del legislatore statale che, in materia di competenza statale esclusiva (ambiente, cui è ricondotta la gestione dei rifiuti), con l’art. 13 del decreto legge n. 50 del 2022 ha deciso di riallocare in sussidiarietà al livello statale la disciplina della gestione dei rifiuti nel territorio di Roma Capitale, anche in forza dell’art. 114, comma 3, Cost., prevedendo la adozione di uno specifico piano di gestione dei rifiuti per quell’area, anche mediante la realizzazione di nuovi impianti, in tal modo identificandola come distinto ATO rispetto all’area metropolitana di Roma Capitale.
Ne discende che l’art. 22 del decreto-legge n. 104 del 2023 non opera una sanatoria di disposizioni di legge regionale (e, segnatamente di quelle della Regione Lazio) che, con valenza innovativa dell’assetto delle competenze fissato con legge statale, abbiano illegittimamente subdelegato la gestione dei rifiuti al livello comunale ma si riferisce, almeno nel caso della Regione Lazio, ad una disposizione di legge con cui la Regione si è limitata a prendere atto e quindi a conformare l’ordinamento regionale di gestione dei rifiuti alla scelta del legislatore nazionale, legittimamente compiuta in materia di competenza esclusiva statale, in forza di un duplice titolo di attribuzione costituzionale: l’art. 117, comma 2, lettera s) in combinato disposto con l’art. 114, comma 3, Cost., oltre che per esigenze di adeguatezza del livello di governo del settore ex art. 118 Cost.
La circostanza che la Regione abbia operato una devoluzione al livello locale della competenza sulla gestione dei rifiuti in via permanente e non limitata alla gestione commissariale, secondo l’orizzonte temporale previsto dal legislatore statale, è questione comunque non rilevante poiché nel caso di specie sono contestati atti adottati dal commissario straordinario prima della scadenza del suo mandato, allorquando cioè la devoluzione al livello locale rinviene la propria autonoma fonte nella legge statale – che ne rimette l’esercizio ad un organo straordinario statale – prima ancora che in quella regionale.
Ne discende che anche il quarto motivo deve essere respinto e, con esso, l’appello nel suo complesso.
D. Anche gli appelli RG 6958 del 2023 ed RG 6986 del 2023 – che stante la sostanziale coincidenza dei motivi di gravame possono esaminati congiuntamente – sono infondati.
1.- In via preliminare devono essere scrutinate le eccezioni preliminari di inammissibilità non esaminate dal T.a.r. e riproposte dalla Città metropolitana di Roma, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a. con la memoria di costituzione nel presente giudizio.
1.1.- Le predette eccezioni possono essere assorbite anche nel presente grado atteso che, come anticipato, tutti gli undici motivi di appello sono infondati sicché la Città metropolitana non può trarre dal loro esame alcuna utilità ulteriore rispetto alla favorevole delibazione di infondatezza nel merito del gravame.
2.- Passando all’esame del merito, con un primo motivo gli appellanti criticano la sentenza del T.a.r. nella parte in cui ha ritenuto applicabile al giudizio il rito speciale di cui all’art. 119 c.p.a., ritenendo, in particolare, sussistenti le ipotesi di cui alle lettere h), c-bis) del primo comma e affermando, in ogni caso, l’applicabilità dell’art. 12-bis del decreto legge n. 68 del 2022.
2.1.- Il motivo è inammissibile per difetto di interesse alla contestazione per le motivazioni già espresse al punto C) 1. nell’esame dell’appello RG 6619/23 cui si rinvia.
Peraltro gli appellanti con la memoria conclusiva del 13 novembre 2023 hanno precisato di avere sollevato la doglianza anche in considerazione dei suoi riflessi sulla quantificazione del contributo unificato più che per dolersi di possibili violazione del diritto di difesa.
La deduzione non è fondata per le ragioni già esposte in ordine alla riconducibilità della controversia in esame nell’ambito di quelle indicate dalla lettera c.-bis dell’art. 119 cod. proc. amm.
3.- Con il secondo motivo di appello ripropongono il primo motivo di ricorso, lamentando la erroneità e comunque la incompletezza della sentenza del T.a.r. che, a loro dire, “falsamente applica l’art. 13 del d.l. 50/2022 ed è manifestamente illogica, irrazionale, contraddittoria e carente dei presupposti e viola le competenze e il piano regionale dei rifiuti”.
Deducono, in particolare, che poiché i poteri conferiti al Commissario straordinario dall’art. 13 del decreto-legge n. 50 del 2022 sarebbero circoscritti temporalmente e funzionalmente all’evento giubilare, in forza del rinvio all’art. 1, comma 421, della legge n. 234 del 2021 ivi contenuto, il T.a.r. avrebbe errato nel ritenerli compatibili con la possibilità di adottare atti e provvedimenti – quali il piano di gestione dei rifiuti e la scelta di localizzare un inceneritore di rifiuti – la cui efficacia è tale da travalicare l’orizzonte temporale dell’evento giubilare (31 dicembre 2025) e comunque quella del mandato commissariale (31 dicembre 2026).
3.1.- Il motivo non è fondato.
E’ pacifico che i poteri in contestazione conferiti per la gestione dei rifiuti nel territorio di Roma Capitale sono stati attributi dal già citato art. 13, comma 1, del decreto-legge n. 50 del 2022 al “Commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2021, n. 234”. Si tratta di organo governativo straordinario nominato per la gestione del giubileo della Chiesa cattolica, pertanto la legge ha limitato temporalmente i relativi poteri collegandoli agli interventi funzionali alle celebrazioni dell’anno giubilare e chiarendo che l’organo resta in carica fino al 31 dicembre 2026.
L’art. 13, a sua volta, nell’attribuire a tale commissario anche i poteri di gestione dei rifiuti della Capitale ha espressamente confermato che i poteri straordinari sono esercitati “limitatamente al periodo del relativo mandato”, quindi sino al 31 dicembre 2026.
Tuttavia, ad essere temporalmente limitato è il solo potere di adozione di tali atti non la relativa efficacia che, per la gestione dei rifiuti, deve necessariamente protrarsi anche oltre il 31 dicembre 2026.
Ciò è confermato dall’art. 13, comma 1, che, nel disciplinare i compiti affidati al commissario straordinario in materia di gestione dei rifiuti nel territorio di Roma Capitale, afferma, tra l’altro, alla lettera a) che il Commissario “adotta il piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale”, senza contenere limitazioni di carattere temporale quanto alle previsioni del piano, i cui effetti del resto, proprio in ragione della natura programmatica dell’atto, sono necessariamente destinati a proiettarsi nel tempo.
Ancora più incisivo è il riferimento contenuto alla lettera d) che conferisce al commissario il potere di approvare “i progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti”, anche pericolosi, e quello di assicurare la realizzazione di tali impianti oltreché di autorizzare le modifiche degli impianti esistenti.
Tale previsione conferisce un solido e non contestabile fondamento al potere del commissario non solo di prevedere nel piano di gestione dei rifiuti la possibilità di realizzare un inceneritore ma anche di porre in essere tutte le attività amministrative necessarie alla sua realizzazione, che è quanto fatto con le ordinanze n. 7 ed 8 del 1 dicembre 2022 oggetto del presente giudizio.
Ad essere temporalmente limitato, entro il periodo di vigenza del mandato commissariale connesso all’evento giubilare, è dunque solo il potere di adozione di siffatti atti ma non la loro efficacia e dunque la possibilità di portali a concreta esecuzione nel tempo, anche oltre la data del 31 dicembre 2026.
Ed è in tale quadro regolamentare che il commissario straordinario, con il piano di gestione dei rifiuti adottato con la ordinanza n. 7 ha previsto, accanto alle misure straordinarie necessarie a far fronte all’afflusso di pellegrini nel 2025 (tramite “accordi specifici con gestori operanti in Italia e all’estero (che) permettano di garantire il superamento dell’emergenza durante il 2025- 2026”), quelle di gestione ordinaria, a regime, del ciclo di rifiuti del territorio di Roma Capitale, in una visione integrata e coordinata delle misure (ordinarie e straordinarie) come imposto dalla adozione di un atto di programmazione ordinario e tipico, qual è quello indicato nella menzionata lettera a).
Nella intenzione del legislatore il Giubileo rappresenta dunque l’occasione per una risposta strutturale al problema annoso della gestione dei rifiuti nel territorio di Roma Capitale ma non in un’ottica esclusivamente emergenziale - e come tale temporalmente circoscritta alla celebrazione del suddetto evento - bensì attraverso l’adozione di misure ed interventi destinati ad operare a regime, oltre la data del 31 dicembre 2026, tramite l’adozione dell’atto di programmazione a tal fine previsto dalla legge in via ordinaria (id est il piano di gestione dei rifiuti del nuovo Ato di Roma Capitale) e delle relative misure attuative e complementari, come indicate, in via esemplificativa, all’art. 13, comma 1.
Le appellanti accennano poi ad un esercizio dei poteri di cui all’art. 13 “in opposizione al Piano regionale dei Rifiuti”, senza precisare tuttavia in cosa consisterebbe un tale contrasto e comunque omettendo di considerare che le ordinanze commissariali, ai sensi dell’art. 13, comma 2 del decreto legge n. 50 del 2022, operano “in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale” e quindi, a fortiori, anche in deroga al Piano regionale dei Rifiuti, laddove per ipotesi dovessero profilarsi profili di contrasto, peraltro esclusi dalla stessa Regione Lazio.
E’ dunque infondata la tesi delle appellanti secondo cui le ulteriori attribuzioni in materia di gestione dei rifiuti nel territorio di Roma Capitale si inscriverebbero e sarebbero delimitate per oggetto, funzione e tempo del loro esercizio, dall’art. 1, commi 421-422 della legge n. 234 del 2021 dai quali
l’art. 13 mutuerebbe il proprio perimetro di operatività oltre che lo scopo.
Il motivo deve, pertanto, essere disatteso e la sentenza del T.a.r., sul punto, deve essere confermata, sebbene con diversa motivazione, nei termini esposti.
4.- Con il terzo motivo gli appellanti ripropongono il secondo motivo di ricorso, lamentando la erroneità e comunque la incompletezza della sentenza del T.a.r. che, a loro dire, “applica erroneamente la legge n. 1953/87, interpreta falsamente l’art. 4 della l.r. n. 14/2022, è carente di motivazione sulla ipotesi di incostituzionalità in caso di fallimento della interpretazione adeguatrice”.
In particolare, lamentano che la sentenza sarebbe errata laddove afferma (paragrafo 2.2.2.) che i ricorrenti, odierni appellanti, non avrebbero titolo per sollevare le dedotte questioni di legittimità costituzionale, sul presupposto che la prospettata lesione delle competenze regionali avrebbe potuto essere rivendicata solo dalla Regione Lazio, ai sensi dell’art. 32 della legge 11 marzo 1953 n. 87.
Occorre sul punto rilevare che in primo grado gli odierni ricorrenti, con il secondo motivo di ricorso, avevano prospettato:
a) la illegittimità costituzionale dell’art. 13 del decreto legge n. 50 del 2022 per violazione dell’art. 120, comma 2, Cost., in ragione della carenza dei presupposti (nella specie “pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica”) per l’esercizio dei poteri sostitutivi in relazione all’inerzia degli organi regionali, secondo le disposizioni attuative di cui all’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131;
b) la illegittimità costituzionale dell’art. 13 del decreto legge n. 50 del 2022 per violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità in relazione al rapporto tra le esigenze da soddisfare per il periodo giubilare e i mezzi individuati allo scopo.
Il T.a.r., come si è visto, ha sostanzialmente ritenuto inammissibile la doglianza per difetto di legittimazione in capo ai ricorrenti, trattandosi di disposizione di legge statale che interviene sull’assetto delle competenze regionali.
4.1.- Il motivo è fondato poiché gli appellanti, in assenza di preclusioni costituzionali, hanno legittimazione ed interesse ad agire per la caducazione della predetta disposizione di legge in quanto rappresenta la base legale del potere di ordinanza sfociato nella adozione degli atti impugnati che assumono, a vario titolo, pregiudizievoli. Una eventuale declaratoria di incostituzionalità condurrebbe infatti alla caducazione delle ordinanze n. 7 ed 8 adottate dal commissario straordinario oggetto del presente giudizio.
Proprio perché incidente sull’ordine delle competenze regionali nella gestione dei rifiuti hanno interesse ad accertare se l’intervento del legislatore statale sia conforme ai parametri costituzionali evocati la cui violazione porterebbe, con la caducazione della disposizione di legge, anche all’annullamento degli atti adottati dal commissario.
4.2.- Le questioni di costituzionalità sono tuttavia manifestamente infondate.
In primo luogo, è manifestamente infondata la questione relativa alla dedotta violazione dell’art. 120, comma 2, Cost. articolata sulla prospettata inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto richiesti per l’esercizio del potere governativo sostitutivo (inerzia regionale e ricorrenza nel caso di specie di un “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica”), perché la doglianza muove dall’erroneo presupposto interpretativo secondo cui l’art. 13 del decreto legge n. 50 del 2022 sarebbe esercizio di un siffatto potere sostitutivo.
Nelle premesse giustificative del decreto-legge non si richiama, infatti, in alcun modo l’art. 120, comma 2, Cost. né si menzionano i presupposti di fatto e di diritto idonei a giustificarne l’esercizio evocati dagli appellanti. Ciò è coerente con il fatto che si tratta di una disposizione di legge che disciplina i poteri di un commissario governativo nominato ai sensi dell’art. 11 della legge n. 400 del 1988 per l’attuazione delle specifiche finalità indicate dall’art. 1, comma 421, della legge n. 234 del 2021, successivamente integrate con quelle ulteriori attribuite, per l’appunto, dall’art. 13 del decreto legge n. 50 del 2022, munendolo di specifici poteri di ordinanza in deroga alle legislazione vigente (diversa da quella penale e salve le eccezioni specificate) ma senza prevedere un generalizzato effetto sostitutivo degli organi regionali competenti in via ordinaria, di cui non si contesta in alcun modo l’inerzia.
In secondo luogo, è manifestamente infondata la questione relativa alla dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del decreto legge n. 50 del 2022 per contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità.
Lo straordinario afflusso di pellegrini atteso in occasione dell’evento giubilare e la necessità di approntare misure straordinarie per fronteggiare il prevedibile incremento della produzione di rifiuti, in un contesto peraltro caratterizzato da notorie criticità, ha giustificato, infatti, come già sottolineato, la riallocazione della funzione dal livello regionale a quello statale, in applicazione del principio di sussidiarietà verticale e di adeguatezza di cui all’art. 118 Cost., e il conferimento di poteri in deroga alla legislazione vigente ad un commissario governativo, come del resto già accaduto per il precedente giubileo del 2000. A ciò si aggiunga che è proprio lo statuto costituzionale di Roma quale Capitale della Repubblica che giustifica, sotto il profilo della ragionevolezza, la previsione di un trattamento giuridico differenziato proprio in ragione del carattere del tutto straordinario degli eventi chiamata ad ospitare, come peraltro confermato dall’art. 114, comma 3, Cost. parimenti richiamato dal legislatore a comprova della ragionevolezza e della proporzionalità della scelta operata. Tale scelta è ulteriormente giustificata dalla notoria gestione inefficiente dei rifiuti nella Capitale che impone al Governo nazionale di intervenire – in sussidiarietà per l’appunto – al fine di garantire che eventi di tale portata possano svolgersi in maniera ordinata e sicura anche dal punto di vista igienico-sanitario.
Il motivo pertanto deve essere respinto, sebbene la sentenza del T.a.r. debba essere sul punto corretta nei termini esposti.
5.- Con il quarto motivo gli appellanti ripropongono il terzo motivo di ricorso, lamentando la erroneità e comunque la incompletezza della sentenza del T.a.r. che sarebbe incorsa in “Omessa motivazione sulla eccezione di nullità e di incompetenza assoluta” operando un cumulo nella disamina dei motivi 3, 7 e 9 che si sarebbe risolta in un’omessa pronuncia sul terzo motivo.
Con tale censura gli appellanti, oltre a dolersi della unitaria trattazione di motivi tra loro eterogenei, si limitano a dedurre l’illegittimo esercizio dei poteri commissariali, in termini di nullità/ incompetenza assoluta, in conseguenza del mancato rispetto delle attribuzioni regionali, laddove la sentenza si limiterebbe a richiamare, in modo generico e apodittico, un infondato potere commissariale di deroga del piano regionale e, perfino, del piano territoriale paesistico regionale.
Pertanto, eccepiscono un vizio di omessa pronuncia e chiedono l’esame del motivo facendo rinvio al ricorso di primo grado, in applicazione del principio di sinteticità.
Occorre al riguardo rilevare che in primo grado gli odierni appellanti avevano dedotto: “Violazione di legge: nullità - difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990 – Incompetenza”.
La tesi è, in sostanza, che poiché il Commissario straordinario opera in forza di una sostituzione amministrativa e non di un trasferimento di funzioni, non consentito a Costituzione vigente, lo stesso sarebbe tenuto a rispettare le previsioni del Piano regionale dei rifiuti che recepisce ed attua le finalità programmatiche regionali e non potrebbe derogarvi per perseguire le finalità indicate dal Governo. Diversamente opinando, l’art. 13, interpretato alla luce dell’art. 120 Cost., attribuirebbe al Commissario un potere di ordinanza del tutto esorbitante, che renderebbe le ordinanze impugnate nulle per difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990 o, quanto meno, illegittime per incompetenza.
5.1.- Il motivo non è fondato.
Ciò che legittima la previsione di un commissario governativo ai sensi dell’art. 11 della legge n. 400 del 1988 è proprio l’ambito materiale della disciplina in questione: venendo in rilievo la materia dell’ambiente, riservata alla competenza esclusiva statale, il legislatore statale ha certamente titolo per adottare norme di legge e, a fortiori, per riallocare le funzioni amministrative al livello di governo ritenuto maggiormente coerente con i principi di cui all’art. 118 Cost e, segnatamente, con quello di adeguatezza.
Per le medesime ragioni il commissario di governo non può ritenersi vincolato alle leggi regionali e nemmeno al piano regionale di gestione dei rifiuti poiché – in ragione del peculiare status di Roma Capitale e dell’evento di portata mondiale da organizzare – è chiamato a gestire il ciclo dei rifiuti alla luce di una dimensione territoriale degli interessi che sovrasta quella regionale.
Per questo è stato legittimamente e necessariamente munito di poteri derogatori, con i controlimiti di ordine costituzionale e comunitari menzionati nell’art. 13.
E’ dunque corretta sul punto la motivazione del T.a.r. che ha evidenziato la portata non vincolante dei piani regionali, alla luce dei poteri di deroga attributi al commissario straordinario.
Ne discende che la censura dev’essere respinta perché infondata.
6.- Con il quinto motivo gli appellanti ripropongono il quarto motivo di ricorso, lamentando la erroneità e comunque la incompletezza della sentenza del T.a.r. che sarebbe incorsa in “Erronea, omessa, insufficiente motivazione; violazione dell’art. 97 della Costituzione; violazione del principio di imparzialità e buon andamento, dell’art. 41 del Trattato dell’Unione Europea e sviamento di potere”.
Assumono che il T.a.r. avrebbe eluso la questione posta con il motivo di ricorso circa:
a) la omessa pre-costituzione, con atto generale, della autorità competente a rendere il parere motivato in materia di Vas, secondo i principi affermati da questo Consiglio, con sentenza n. 133 del 2011, individuata, nel caso di specie, dal commissario straordinario nella Città metropolitana di Roma Capitale, con provvedimento ad hoc rappresentato dall’ordinanza n. 1 del 12 agosto 2022, peraltro dopo la adozione della proposta di piano avvenuta in data 4 agosto 2022;
b) la illegittima designazione, quale autorità competente, della Città metropolitana di Roma Capitale anziché della direzione regionale “territorio, urbanistica , mobilità e rifiuti” indicata, in via generale, con legge regionale n. 16 del 2011 e successiva Dgr n. 148 del 2013 quale autorità competente a rendere il parere motivato in materia di Vas nei procedimenti di competenza regionale; tale decisione sarebbe anche affetta da sviamento, oltre che adottata in carenza di motivazione, in quanto preordinata ad eludere il controllo effettivo della Regione Lazio sulla compatibilità del piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale con il piano regionale di gestione dei rifiuti adottato nel 2020 dalla Regione Lazio;
c) la illegittimità del cumulo di funzioni di materia di Vas in capo al Sindaco di Roma Capitale quale autorità procedente alla adozione del piano di gestione dei rifiuti, nella veste di commissario straordinario, e quale sindaco della Città metropolitana di Roma capitale, incaricata di rendere il parere motivato, in violazione dunque del principio di imparzialità e del diritto, di matrice comunitaria, ad una buona amministrazione sancito dall’art. 41, comma 1 del Trattato UE.
6.1.- Il motivo non è fondato.
Il T.a.r. sul punto, nel respingere il motivo, ha osservato che “da un lato il comma 3 dell’art. 13 del d.l. n. 50/2022 consente al Commissario straordinario di dotarsi di una propria organizzazione, anche diversa da quella regionale (…); dall’altro l’individuazione come Autorità competente per la Vas del Dipartimento III Ambiente e tutela del territorio: acqua, rifiuti, energia e aree protette – tenuto altresì conto dei poteri derogatori attribuiti al Commissario – costituisce razionale allocazione in relazione alla “scala” del Piano di gestione, riferito appunto al territorio comunale, e alle precipue conoscenze e competenze della struttura individuata”.
Il Collegio condivide la motivazione resa dal primo giudice e ritiene di integrarla nei termini che seguono, a confutazione del motivo di gravame.
La tesi della inderogabile necessità della individuazione con atto preventivo e generale dell’autorità competente a rendere il parere motivato in materia di Vas è logicamente incompatibile con la previsione di un potere speciale e derogatorio che riguarda, nel caso di specie, l’adozione del piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale e quindi di un atto puntuale ed individuato.
Al contempo la portata ampiamente derogatoria del potere di ordinanza come disciplinato all’art. 13, comma 2, del decreto-legge n. 50 del 2022 non consente di ravvisare alcuna attitudine viziante alla individuazione dell’autorità competente in data successiva alla adozione della proposta di piano e ciò a fortiori se si considera il carattere eccezionale del procedimento di adozione e di approvazione del piano che giustifica scostamenti dalla disciplina tipica del procedimento di Vas, soprattutto allorquando alla inversione procedimentale non siano ricollegabili violazioni di carattere sostanziale o possibili vulnus alla tutela ambientale, nella specie neppure dedotte.
Sempre l’ampia portata derogatoria del potere di ordinanza del commissario consente di superare le ulteriori doglianze riferite sia alla commistione di ruoli in capo al sindaco di Roma Capitale che al difetto di motivazione circa la individuazione dell’autorità competente nella Città metropolitana di Roma Capitale. Quest’ultimo vizio sarebbe comunque insussistente dal momento che il commissario, nella pur ampia discrezionalità organizzativa espressamente riconosciutagli dalla legge e valorizzata dal T.a.r., ha designato proprio il livello di governo tradizionalmente preposto alla tutela ambientale, quello provinciale, e quindi in grado di assicurare il miglior standard di valutazione tecnico discrezionale.
La giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. II, 1 settembre 2021 n. 6152; Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2011, n. 133) ha già chiarito che i rapporti tra “autorità competente” ed “autorità procedente” in materia di Vas debbono essere ricostruiti non in termini di separatezza bensì di collaborazione, ritenendo possibile configurarli in termini di relazione interorganica, tra organi della medesima amministrazione, sicché la scelta del Commissario di nominare quale autorità competente a rendere il parere motivato un organo della Città metropolitana, e cioè di un centro di imputazione soggettivo formalmente distinto sia da Roma Capitale che dal Commissario di Governo, è proprio nel senso indicato dagli appellanti di assicurare in misura persino rafforzata il rispetto dei principi di imparzialità e di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost e 41 del Trattato UE.
Né può fondatamente obiettarsi in senso contrario che la soggezione dell’organo tecnico della Città metropolitana ai poteri del sindaco metropolitano e quindi – stante la coincidenza tra sindaco metropolitano e sindaco di Roma Capitale – a quelli del Commissario di Governo e cioè dell’autorità competente, rappresenterebbe un vulnus ai suddetti principi poiché le relazione tra i suddetti organi non può essere ricostruita secondo il paradigma della relazione gerarchica – con i connessi poteri di ordine e quindi di ingerenza – come affermano gli appellanti, essendo l’autonomia dell’organo tecnico, incaricato di rendere il parere motivato, presidiata dal principio generale della distinzione tra organi di indirizzo politico (sindaco metropolitano) ed organi amministrativi chiamati ad agire nel rispetto del principio di buon andamento e imparzialità (art. 97, comma 2, Cost.) e “nell’interesse esclusivo della Nazione” (art. 98, comma 1, Cost.) e quindi nel rigoroso rispetto del principio di legalità.
Infine, la scelta del Commissario di discostarsi dal modello regionale che individua l’autorità competente a rendere il parere motivato in materia di Vas nella direzione “territorio, urbanistica, mobilità e rifiuti” non è circostanza sintomatica di eccesso di potere poiché l’art. 13 del decreto-legge n. 50 del 2022 ha espressamente previsto che sulle ordinanze adottate dal Commissario debba essere acquisito il parere obbligatorio non vincolante della Regione Lazio. La Regione ha potuto esprimersi, pertanto, anche sul piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale, ritenendolo conforme alle direttive sia del piano regionale di gestione dei rifiuti che di quello nazionale e ritenendo pertanto le relative previsioni suscettibili di reciproca integrazione e di efficace coordinamento, oltre che in linea con le disposizioni di legge nazionale e comunitaria (cfr. p. 6 e 7 della nota della Regione Lazio indirizzata alla Struttura di Missione per le procedure di infrazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito della procedura “EU Pilot n. (2019) 9541 ENVI - Gestione dei rifiuti nel Lazio e a Roma” sub doc. 7 della produzione documentale della Città Metropolitana di Roma Capitale del 18 agosto 2023).
Non giova alla tesi degli appellanti, a sostegno della necessaria devoluzione al livello regionale della competenza a rendere il parere motivato, la circostanza che il Commissario abbia riconosciuto di essersi avvalso della base dati della Vas regionale perché il Commissario ha agito come autorità procedente e in tale veste ha doverosamente attinto anche al compendio delle informazioni ambientali già acquisite in occasione della approvazione del piano regionale dei rifiuti, in applicazione del principio di non aggravamento del procedimento e della necessità di adottare un piano di livello locale che fosse comunque coerente con i criteri e gli obiettivi indicati dal piano regionale.
Per le ragioni sin qui esposte il motivo deve essere respinto.
7.- Con il sesto motivo gli appellanti ripropongono il quinto motivo di ricorso incentrato sulla violazione della c.d. gerarchia dei rifiuti, lamentando la erroneità e comunque la genericità della motivazione del T.a.r. che, a loro dire, sarebbe incorso in: “Illegittimità della sentenza per genericità assoluta della motivazione - sua infondatezza per erronea/omessa applicazione delle direttive 2008/98 e del d.lgs. n. 152/2006 – Contraddittorietà - Erronea interpretazione dei principi enunciati nella CGUE C-305/2019 - Carenza di istruttoria”.
7.1.- La doglianza è infondata per le motivazioni esposte al punto C) 2 in merito ad analoga doglianza proposta nel ricorso RG 6619/23, cui si rinvia, con le seguenti precisazioni ed integrazioni.
7.2.- Gli appellanti lamentano il carattere generico della motivazione in quanto nulla avrebbe osservato il T.a.r. in merito alla mancanza di conformità del Piano impugnato rispetto al piano regionale di gestione dei rifiuti ed alle modalità con cui il principio della gerarchia dei rifiuti e quelli ad esso collegati, enunciati nella direttiva 2008/98 CE e recepiti dal testo unico dell’ambiente, sono stati in concreto ivi declinati.
7.3.-Il motivo è infondato.
7.3.1.- La verifica di conformità e di coerenza del piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale con il corrispondente piano regionale, oltre ad essere stata condotta in sede di Vas, è stata operata anche dalla Regione Lazio che, come si è visto, ha reso un parere favorevole (parere n. 909043 del 22 settembre 2022).
Nella recente relazione del 8 marzo 2023 inviata alla Struttura di missione per le procedure di infrazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, già menzionata, la Regione chiarisce in modo lineare la conformità del Piano non solo agli obiettivi di quello regionale ma anche a quelli del Piano nazionale, anche con specifico riferimento al rispetto del principio comunitario della gerarchia dei rifiuti, precisando quanto segue: “La Regione ha partecipato al procedimento di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) relativa al “Piano di Gestione dei Rifiuti di Roma Capitale ai sensi dell’art.14 del D.Lgs.152/2006” esprimendo parere positivo, sia perché il Piano di Roma Capitale persegue il raggiungimento dell’autosufficienza territoriale nella gestione dei rifiuti, che costituisce uno specifico obiettivo del Piano regionale (per “il raggiungimento degli obiettivi del Piano regionale di gestione rifiuti è necessario definire e prevedere – in particolare per i rifiuti urbani indifferenziati e non altrimenti recuperabili - le migliori soluzioni possibili ai fini del raggiungimento dell’autosufficienza territoriale nella gestione dei rifiuti”), sia alla luce dei nuovi indirizzi del recente Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (Pngr) di cui all'articolo 198-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, approvato dal Ministero della Transizione Ecologica con DM 257 del 24 giugno 2022 (atto di pianificazione nazionale sovraordinato rispetto al Piano Regionale) che, come riportato a pag. 66 Tabella 28 e in altri punti, privilegia per i rifiuti urbani residui da raccolta differenziata “scelte tecnologico- impiantistiche volte al recupero energetico diretto senza attività di pretrattamento” (il pretrattamento è rappresentato da impianti TM/TMB) “affinché si massimizzi la valorizzazione energetica del rifiuto”, che è proprio quanto disposto dal Piano di Roma Capitale, che prevede il conferimento del rifiuto urbano indifferenziato residuo da Raccolta Differenziata direttamente a termovalorizzazione con recupero di energia, bypassando il pretrattamento negli impianti TMB/TM.”
Nella predetta relazione la Regione precisa, inoltre, quanto segue:
a) “Il Piano di Roma Capitale è allineato anche con la Gerarchia di trattamento dei rifiuti stabilita dall’art. 179 del TUA che, dopo la raccolta differenziata destinata a riciclaggio, prevede alla lettera d) il “recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia”; e in via ultima e residuale alla lettera e) lo smaltimento in discarica.”;
b) “Ad oggi Roma Capitale si avvale degli impianti di pretrattamento e di discarica di tutte le Province della Regione Lazio, conferendo i propri rifiuti urbani indifferenziati in tutti gli impianti di trattamento meccanico biologico (TM e TMB) della Regione Lazio, i cui scarti, combustibile solido
secondario (CSS) da conferire a termovalorizzazione e la FOS da conferire a discarica, sono consistenti, con basso il recupero di materia. Conferendo direttamente i rifiuti urbani indifferenziati residui dalla raccolta differenziata, e non altrimenti recuperabili, a termovalorizzazione si ottiene recupero energetico, con enorme riduzione di rifiuto residuo da conferire a discarica - così come previsto dal recente Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR) e obiettivo dello stesso Piano Regionale - e si realizza l’autosufficienza territoriale nella gestione dei rifiuti di Roma Capitale, come previsto dal Piano regionale e dall’art 182-bis. “Principi di autosufficienza e prossimità” del D. Lgs. 152/2006.”;
c) “Il Piano di Roma Capitale, pertanto, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi del Piano Regionale, potenziando il sistema di gestione dei rifiuti di Roma Capitale al 2025-2026, in vista non solo di un evento straordinario quale è il Giubileo della Chiesa Cattolica del 2025, ma anche degli ulteriori possibili futuri eventi che potranno essere ospitati a Roma (per es. EXPO 2030, ecc.) in ragione del grande patrimonio storico, artistico e culturale che la caratterizza.”.
Se si considera che dai dati Ispra del 2022, richiamati a p. 6 e 7 della menzionata relazione, si evince che la sola Roma Capitale ha concorso nel 2021 per circa il 55,1% della produzione regionale di rifiuti urbani e per circa il 65,1% della produzione regionale di rifiuti urbani indifferenziati, emerge che la scelta contestata non solo rappresenta una misura necessaria a dare attuazione al principio di gerarchia dei rifiuti, in quanto favorisce il recupero energetico dei rifiuti urbani indifferenziati riducendo il conferimento in discarica, con conseguente ottimizzazione del ciclo, ma concorre alla realizzazione anche di un altro principio comunitario, quello dell’autosufficienza e della prossimità territoriale nello smaltimento dei rifiuti, riducendo significativamente il loro trasferimento presso gli impianti di pretrattamento e di discarica ubicati in altre province della Regione o in altre Regioni, in tal modo determinando un rilevante abbattimento dell’impatto ambientale derivante dalle attività di trasporto (cfr. p. 199 – 201).
Del resto, è illogico ed in contrasto con il ciclo di gestione delineato dal legislatore europeo che il livello territoriale che produce il quantitativo di gran lunga maggiore di rifiuti urbani a livello regionale sia privo degli impianti di recupero e di smaltimento, generando in tal modo un massiccio flusso verso le località in cui tali impianti sono ubicati (cfr. p. 199 – 201).
Da quanto precede emerge che la scelta operata dal Commissario è, al contempo:
a) rispettosa della gerarchia dei rifiuti perché riduce in modo significativo il conferimento in discarica, ottimizzando il ciclo nel suo complesso (cfr. art. 4 direttiva 2008/98 CE e artt. 179 e 182 del T.U.A.);
b) incrementa l’attività di recupero (energetico) che è attività sovraordinata nella gerarchia dei rifiuti rispetto al conferimento in discarica (artt. 179, comma 1, lett. d) e 181 del T.U.A.);
c) attua l’autosufficienza e la prossimità territoriale nello smaltimento e nel recupero dei rifiuti (art. 182-bis del T.U.A.);
d) attua il principio della gestione dei rifiuti “senza pregiudizio per l’ambiente” in relazione al minor impatto ambientale connesso alle attività di trasporto dei rifiuti e a quello collegato di precauzione (artt. 177 e 178 del T.U.A.).
Ciò in conformità non solo alle previsioni del piano regionale e di quello nazionale ma degli stessi principi indicati dalla direttiva 2008/98 CE.
Da quanto precede discende che la scelta di realizzare l’inceneritore è conforme anche a quanto statuito dalla Corte di giustizia UE, sezione VI con la sentenza 8 maggio 2019 in causa C‑305/18 laddove, al punto 39, afferma che “il principio della «gerarchia dei rifiuti», quale espresso all’articolo 4 della direttiva «rifiuti» e letto alla luce dell’articolo 13 di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che qualifica gli impianti di incenerimento dei rifiuti come «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale», purché tale normativa sia compatibile con le altre disposizioni di detta direttiva che prevedono obblighi più specifici”.
Nel caso di specie la decisione di realizzare l’inceneritore è, infatti, coerente con altri e più specifici obblighi imposti dalla direttiva, sopra richiamati, che non mettono in discussione in alcun modo il principio di gerarchia e, in particolare, la priorità delle misure sovraordinate rispetto al recupero, quali la prevenzione, la preparazione per il riutilizzo ed il riciclaggio, tant’è che il piano impugnato si fa espressamente carico di prevedere apposite misure per potenziare in primis proprio la raccolta differenziata che, secondo l’obiettivo di piano, viene portata al 65% con un tasso di riciclaggio al 51,4% (cfr. p. 194; per il quadro completo delle misure si veda p. 158 del piano di gestione).
Né può contestarsi l’insufficienza delle percentuali di riciclaggio previste dal piano per inferirne la illegittimità della scelta di realizzare l’inceneritore, atteso che gli obiettivi di riciclaggio devono essere ragionevoli e sostenibili ed il loro mancato raggiungimento nel tempo non fa comunque venir meno l’obbligo di potenziare le altre misure, quali quelle di recupero, anche energetico, e di attuare i principi di sistema, quale quello di autosufficienza e prossimità degli impianti, oltre che di tutela dell’ambiente rispetto all’impatto delle operazioni di trasporto dei rifiuti dai luoghi dove gli stessi sono prodotti verso quelli dove insistono gli impianti di trattamento e di smaltimento.
Del resto, è la stessa Corte di giustizia a precisare al già richiamato punto 29 della menzionata sentenza che “la gerarchia dei rifiuti costituisce un obiettivo che lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità, non obbligando questi ultimi ad optare per una specifica soluzione di prevenzione e gestione”, in tal modo escludendo il carattere direttamente precettivo della previsione che, invece, gli appellanti invocano, senza fondamento, quale parametro diretto di legittimità dei provvedimenti impugnati, come rilevato anche dal T.a.r. laddove ha correttamente evidenziato che il principio si indirizza primariamente al legislatore nazionale, indicando un criterio da attuare “nella normativa e nella politica in materia di prevenzione e gestione di rifiuti” (così paragrafo 28 Corte di giustizia U.E. cit.).
Il motivo deve pertanto essere respinto con le precisazioni e le integrazioni della sentenza appellata testè illustrate.
8.- Con il settimo motivo gli appellanti ripropongono il sesto motivo di ricorso, lamentando la erroneità e comunque la incompletezza della sentenza del T.a.r. che sarebbe incorsa in “Omessa motivazione della sentenza – Violazione per omessa applicazione dei principi e delle norme della direttiva Vas – Omessa valutazione della carenza di alternative al piano proposto- contraddittorietà”.
Si dolgono del fatto che la Vas avrebbe operato una mera comparazione tra lo stato di fatto esistente (c.d. scenario zero) e le previsioni di piano (c.d. scenario di piano) ma senza valutare le “alternative ragionevoli” al piano proposto, anche dal punto di vista impiantistico, secondo quanto invece previsto dalla direttiva 2001/42/CE in plurime disposizioni (considerando 14; art. 5, comma 1; art. 9, comma 1, lett. b); allegato 1 lett. h)), recepite dall’art. 13 del d. lgs. n. 152 del 2006.
Aggiungono che la mera comparazione tra lo stato di fatto e il piano proposto, senza possibilità di verificare scenari alternativi da mettere a confronto, avrebbe l’effetto di una conferma surrettizia della scelta operata, in luogo di una verifica critica della bontà della stessa.
8.1.- Il motivo non è fondato.
L’art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede che “nel rapporto ambientale debbono essere individuati, descritti e valutati gli impatti significativi che l'attuazione del piano o del programma proposto potrebbe avere sull'ambiente e sul patrimonio culturale, nonché le ragionevoli alternative che possono adottarsi in considerazione degli obiettivi e dell'ambito territoriale del piano o del programma stesso”. Dispone la lettera h) dell’Allegato VI circa i contenuti del rapporto ambientale di cui all'art. 13 che “le informazioni da fornire con i rapporti ambientali che devono accompagnare le proposte di piani e di programmi sottoposti a valutazione ambientale strategica sono: …. h) sintesi delle ragioni della scelta delle alternative individuate e una descrizione di come è stata effettuata la valutazione, nonché le eventuali difficoltà incontrate (ad esempio carenze tecniche o difficoltà derivanti dalla novità dei problemi e delle tecniche per risolverli) nella raccolta delle informazioni richieste”.
Gli appellanti insistono sul mancato esame delle alternative, anche in relazione alle tipologie impiantistiche (in particolare con riferimento agli impianti di trattamento mediante digestione anaerobica) ma nulla allegano circa la loro effettiva esigibilità nel caso di specie.
La direttiva fa riferimento, infatti, ad alternative “ragionevoli alla luce degli obiettivi e dell'ambito territoriale del piano o del programma” e, come tali, effettivamente “possibili”, da verificare in concreto, alla luce degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano.
Gli obiettivi del piano, come evidenziato dalla Regione, sono quelli indicati nel piano regionale e in quello nazionale e prevedono rispettivamente:
a) “…in particolare per i rifiuti urbani indifferenziati e non altrimenti recuperabili - le migliori soluzioni possibili ai fini del raggiungimento dell’autosufficienza territoriale nella gestione dei rifiuti”;
b) per i rifiuti urbani residui da raccolta differenziata “scelte tecnologico - impiantistiche volte al recupero energetico diretto senza attività di pretrattamento…affinché si massimizzi la valorizzazione energetica del rifiuto”.
A p. 145-146 punto 13.2 del piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale è poi riportata la verifica di coerenza rispetto ai macro obiettivi del piano nazionale di gestione dei rifiuti e viene comprovato che le azioni adottate sono conformi e tali obiettivi.
Rispetto a tali obiettivi non paiono configurabili alternative alla realizzazione anche dell’inceneritore quale tecnologia di recupero energetico diretto, senza attività di pretrattamento dei rifiuti urbani indifferenziati non recuperabili che, diversamente, verrebbero conferiti in discarica. Peraltro, anche nello stato di fatto, Roma Capitale si avvale degli impianti di pretrattamento e di discarica di tutte le Province della Regione Lazio, conferendo i propri rifiuti urbani indifferenziati in tutti gli impianti di trattamento meccanico biologico (TM e TMB) della Regione Lazio in violazione del principio di autosufficienza impiantistica e di prossimità del trattamento rispetto al luogo dove i rifiuti sono generati.
Il confronto tra la strategia di recupero energetico diretto e quella basata sull’alternativa del pre-trattamento è rappresentata in dettaglio nei capitoli della Parte Terza del Piano (capitoli 20 e 21, Scenario di Piano e Confronto con Scenario Zero, pagg. 194 - 221) che descrivono il calcolo degli impatti ambientali mediante LCA e mostrano la netta superiorità nella riduzione degli impatti ambientali dello Scenario di Piano.
Sulla base dei documenti in atti non appare dunque “possibile” prevedere ulteriori strategie “alternative” di gestione dei rifiuti residui indifferenziati per chiudere il ciclo di gestione in modo ottimale.
Inoltre, nello scenario di piano, per quanto concerne l’impatto ambientale rispetto alle emissioni di CO2, lo studio evidenzia che i trasporti si riducono a circa la metà in conseguenza della eliminazione dei trasporti fuori Regione e fuori Italia come risultato della realizzazione degli impianti nel territorio di Roma Capitale. Si aggiunga che le emissioni di metano da discarica offrono un contributo elevato nello scenario zero, in conseguenza del fatto che il 100% dei rifiuti residui è avviato a pre-trattamento, un’operazione che richiede sempre l'avvio a discarica di rifiuti biodegradabili parzialmente stabilizzati.
L’analisi dello scenario di piano non rappresenta dunque un mero avallo della scelta operata ma analizza e dà conto delle scelte operate, evidenziando l’inderogabile necessità di modificare la situazione esistente in quanto non conforme ai principi della direttiva rifiuti e quindi l’assenza di alternative rispetto alla necessità di dare attuazione ai suddetti principi, rinunciando dunque alla opzione zero.
Quanto alla omessa valutazione ambientale di ragionevoli alternative alla proposta di piano era comunque onere degli appellanti indicare la effettiva esistenza di possibili opzioni alternative, parimenti idonee – tenuto conto delle percentuali di raccolta differenziata e di riciclaggio attuali e di quelle realisticamente esigibili – a conseguire i suddetti obiettivi (potenziamento del recupero, riduzione del conferimento in discarica, riduzione dell’impatto ambientale delle emissioni, autosufficienza e prossimità delle dotazioni impiantistiche, nel quadro di misure volte al potenziamento della raccolta differenziata e quindi del tasso di riciclaggio), non potendosi fare ricadere, in applicazione dei principi in materia di onere della prova, sulla parte pubblica l’onere di una prova negativa circa l’inesistenza di alternative “ragionevoli” e quindi “possibili”, in termini di fattibilità, rispetto a cui operare una comparazione in termini di impatto ambientale, in relazione agli obiettivi e all’ambito territoriale del piano.
Poiché tali proposte di piano alternative non sono state prospettate - in quanto evidentemente non ve ne sono di possibili, in relazione ai suddetti specifici obiettivi posti dagli atti di programmazione generale sovraordinati - il motivo va dichiarato inammissibile in quanto generico e comunque infondato per carenza di prova della doglianza.
A conferma di quanto precede osserva il Collegio che nel documento della DG Ambiente della Commissione europea del 2003 su “Attuazione della Direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente”, nel premettere che il testo della direttiva non dice che cosa si intenda per "ragionevole alternativa" a un piano o a un programma si evidenzia che la prima considerazione necessaria per decidere in merito alle possibili alternative ragionevoli deve tenere conto degli “obiettivi” e “dell’ambito territoriale del piano o del programma”, in linea con quanto osservato sopra (punto 8.1.).
Aggiunge significativamente il documento che “Il testo non specifica se si intendano piani o programmi alternativi, o alternative diverse all’interno di un piano o di un programma. In pratica, verranno generalmente valutate alternative diverse all’interno di un piano (ad es. diversi metodi di smaltimento dei rifiuti all’interno di un piano per la loro gestione)”. Conclude affermando che “Le alternative scelte devono essere realistiche”.
In definitiva, è la stessa Commissione a ritenere non necessaria la elaborazione di una proposta di piano alternativa, reputando possibile valutare alternative diverse all’interno dello stesso piano (citando significativamente il caso del piano di smaltimento dei rifiuti), che è proprio quanto fatto dal Commissario straordinario, anche con specifico riferimento alle scelte impiantistiche ed ai diversi metodi di smaltimento dei rifiuti.
Peraltro, la comparazione tra lo scenario zero e quello di riferimento è in linea con quanto previsto nell’allegato I alla direttiva 42/2011/CE dove, tra i contenuti del rapporto ambientale, alla lettera b) è richiesta la indicazione degli “aspetti pertinenti dello stato attuale dell’ambiente e sua evoluzione probabile senza l’attuazione del piano o del programma” che è quanto rappresentato nel rapporto ambientale impugnato.
Gli appellanti insistono che, in realtà, il piano avrebbe omesso di valutare anche le alternative impiantistiche. Si richiamano, in particolare, la Comunicazione 26 gennaio 2017 (COM (2017) 34 final), che, tra l’altro, individua la digestione anaerobica come maggiormente funzionale alle finalità di recupero dei rifiuti anziché al loro incenerimento.
Il motivo è infondato poiché il piano, nello scenario di riferimento, prevede anche la realizzazione di due impianti di trattamento mediante digestione anaerobica che sono tuttavia complementari rispetto all’inceneritore, comunque necessario per il recupero della frazione secca residua, essendo la digestione anaerobica un sistema di trattamento riferito alla frazione umida e non secca.
Il motivo pertanto oltre che inammissibile è anche infondato nel merito.
9.- Con l’ottavo motivo gli appellanti ripropongono il settimo motivo di ricorso, lamentando la erroneità e comunque la incompletezza della sentenza del T.a.r. che sarebbe incorsa in “Omessa motivazione sul rapporto del Piano commissariale con altri pertinenti piani. Erronea/falsa applicazione dell’art. 13 del d.l. n. 50/22. Inderogabilità eurounitaria”.
Si dolgono del fatto che il T.a.r. avrebbe omesso di esaminare la denunciata mancata verifica del rapporto di coerenza del piano adottando con gli strumenti di pianificazione sovraordinata o di settore, secondo quanto richiesto dall’art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 e dall’allegato VI. Ciò anche con riguardo al Piano regionale dei rifiuti e al Piano paesistico regionale.
9.1.- Il motivo non è fondato.
A pag. 169 e seguenti del Rapporto Ambientale (doc. 8 dei ricorrenti) è, infatti, inserita l’Analisi di Coerenza Esterna che “analizza la relazione tra gli Obiettivi della proposta del Piano di Gestione Rifiuti di Roma Capitale e gli Obiettivi / Strategie della pianificazione rilevante. Il confronto permette di verificare la compatibilità, l’integrazione e il raccordo degli obiettivi del piano rispetto alle linee generali della pianificazione sovraordinata e di settore”.
Non si tratta, quindi, di un mero elenco, secondo quanto contestato, ma dell’analisi dei Piani rilevanti che vengono analiticamente comparati da p. 170 a p. 198 evidenziando il grado di coerenza con la pianificazione rilevante seconda apposita “legenda” idonea ad evidenziare il livello di coerenza.
E’ vero che tale raffronto manca proprio con riguardo al piano regionale di gestione dei rifiuti ove si afferma, a p. 179, che la “coerenza non rileva” in quanto “L’articolo 13 del decreto-legge 50 del 2022 prevede che il Commissario Straordinario eserciti le competenze assegnate alle Regioni ai sensi degli articoli 196 e 208 del decreto legislativo 152 del 2006 tra cui in particolare la predisposizione e adozione del Piano di Gestione dei Rifiuti. Il Piano GR-RC predisposto e adottato dal Commissario Straordinario non è sottoponibile pertanto a una valutazione di coerenza con il Piano Regionale, di cui costituisce il superamento limitatamente al territorio del Comune di Roma Capitale, se non per ciò che concerne eventuali ambiti di raccordo che dovessero rivelarsi necessari.”.
Tuttavia la scelta di non operare la valutazione di coerenza è immune da vizi per le ragioni esposte nella motivazione riportata per esteso, come peraltro correttamente rilevato anche dal T.a.r., al punto 2.4. della motivazione: il giudice di primo grado, in particolare, ha confermato la legittimità del giudizio di irrilevanza stante la portata derogatoria delle previsioni del piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale rispetto a quelle del piano regionale.
Gli appellanti obiettano tuttavia che la portata derogatoria non opererebbe nel caso di specie essendo la valutazione di coerenza prescritta dal diritto comunitario in relazione al quale non operano i poteri di deroga del commissario, per espressa previsione dell’art. 13 del decreto legge n. 50 del 2022.
Il motivo è inammissibile per genericità in quanto gli appellanti non indicano la disposizione della direttiva Vas che nella specie sarebbe stata derogata.
In particolare, nel caso di specie il legislatore statale, in materia di competenza legislativa esclusiva, in applicazione del principio di adeguatezza e tenuto conto dello statuto costituzionale della città di Roma, in quanto Capitale della Repubblica, si è limitato a riportare la competenza al livello statale prevedendo, limitatamente a quel livello di governo locale, la possibilità di approvare un piano di gestione dei rifiuti dedicato, anche in deroga alle previsioni di legge e quindi anche ai piani di settore vigenti.
Non è chiaro perché, in presenza di una dichiarata portata derogatoria del piano, il Commissario avrebbe dovuto operare una valutazione di coerenza, per definizione esclusa dalla natura derogatoria del potere esercitato, e non è chiaro – perché gli appellanti non lo esplicitano – perché tale omissione sarebbe in contrasto con la direttiva Vas dal momento che il piano in questione è pacificamente oggetto della valutazione ambientale strategica, anche con specifico riferimento all’impatto sui restanti piani di settore.
Peraltro, la valutazione di coerenza è prescritta in relazione ad “altri pertinenti piani” (cfr. allegato VI lett. b) al d. lgs. n. 152 del 2006) per tali dovendosi intendere quelli tipologicamente diversi, al fine di verificare le ricadute del piano in adozione su diversi ambiti di tutela suscettibili di pregiudizio e non su identico piano – sebbene di livello territoriale più ampio - che tutela il medesimo interesse ambientale.
Quanto invece al piano paesistico, è sufficiente osservare che la verifica di coerenza è condotta a p. 181 del Rapporto ambientale.
Il motivo deve pertanto essere dichiarato in parte infondato ed in parte inammissibile per genericità.
10.- Con il nono motivo gli appellanti ripropongono l’ottavo motivo di ricorso, lamentando la erroneità e comunque la incompletezza della sentenza del T.a.r. che, a loro dire, sarebbe incorsa in “Omessa applicazione Reg. CE 850/2004 come modificato dal Reg. UE 2019/1021 - Convenzione internazionale di Stoccolma (GUCE 31.07.2006) - Convenzione di Aharus del 1979. Violazione dell’art. 10 Cost. – Travisamento - Omessa considerazione della finalità preventiva e precauzionale delle norme violate – Omessa considerazione delle alternative richiesta dalle convenzioni e dal regolamento UE”.
Contestano, in particolare, la sentenza del T.a.r. nella parte in cui ha respinto il motivo con cui è stata dedotta la violazione di convenzioni internazionali e di Regolamenti dell’Unione europea istituiti per la lotta agli inquinanti persistenti (c.d. Pop), pericolosi per la salute umana e per l’ambiente, generati dagli inceneritori.
Censurano, in particolare, il passaggio della motivazione dove il T.a.r. (p. 45 par. 2.11) afferma che “Generiche e comunque affatto intempestive, dovendo essere rivolte ai successivi sviluppi procedimentali in termini di V.I.A. e A.I.A sono …le censure di cui al motivo sub 8 dei ricorsi nr 3587/2023 e n.r. 3721/2023 .(,……) dedotte con riferimento ai paventati rischi di inquinamento, peraltro strettamente correlati anche alle caratteristiche, condizioni e soluzioni impiantistiche del termovalorizzatore, e quindi insuscettibili di un esame ipotetico e astratto”.”.
Tali motivazioni, secondo gli appellanti, si porrebbero in contrasto con il carattere preventivo della Vas che ispira la politica ambientale dell’Unione, ai sensi dell’art. 174, comma 2 del Trattato dell’Unione come recepito dall’art. 3-ter d. lgs. n. 152/2006.
10.1- Il motivo non è fondato.
Come riconosciuto dagli stessi appellanti, gli inquinanti ambientali in questione sono oggetto di specifica attenzione e disciplina, a livello nazionale, agli artt. 237-bis e seguenti del titolo III bis della parte IV del d. lgs. n. 152 del 2006.
Senonché la operatività delle misure preventive e di cautela a tal fine previste dalle disposizioni di legge nazionale, è collocata nella fase di autorizzazione della realizzazione e dell’esercizio dei suddetti impianti (cfr. art. 237-quinquies e 237-sexies del d. lgs. n. 152 del 2006) sicché deve essere confermato quanto rilevato dal T.a.r. circa la intempestività della censura.
Del resto, ai fini della redazione del rapporto ambientale l’art. 13, comma 4, secondo alinea del d. lgs. n. 152 del 2006 precisa che “L’allegato VI al presente decreto riporta le informazioni da fornire nel rapporto ambientale a tale scopo, nei limiti in cui possono essere ragionevolmente richieste, tenuto conto del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione correnti, dei contenuti e del livello di dettaglio del piano o del programma”, a conferma che il corredo di informazioni è commisurato al “livello di dettaglio del piano” che, nella specie (cfr. art. 199 d. lgs. n. 152 del 2006), non contempla anche la descrizione analitica delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di trattamento, fermo restando che nel piano approvato v’è comunque – coerentemente con il livello di dettaglio dello stesso e del principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente – un espresso e inequivoco richiamato alla necessità che l’impianto di incenerimento (come pure i due impianti di Digestione Anaerobica) sia “realizzato adottando tecnologie consolidate e realizzato con le Bat per l'abbattimento delle emissioni” (cfr. p. 195 Piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale). Tale rilevante indicazione comporta la necessaria applicabilità del golden standard in materia, rappresentato, allo stato, dalla decisione di esecuzione (UE) 2019/2010 della Commissione del 12 novembre 2019 che stabilisce le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (Bat), a norma della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per l’incenerimento dei rifiuti.
Ne discende che il motivo è infondato e va respinto in quanto il piano approvato ha comunque prescritto e garantito, nel livello di dettaglio esigibile in quella fase, la necessaria conformità degli impianti previsti – ivi compreso l’inceneritore – alle Bat, assicurando il miglior standard tecnico esigibile, anche ai fini della prevenzione degli inquinanti persistenti, salvi gli approfondimenti di dettaglio che saranno comunque condotti in sede di V.I.A. o comunque della A.I.A.
11.- Con il decimo motivo gli appellanti ripropongono il nono motivo di ricorso, lamentando la erroneità e comunque la incompletezza della sentenza del T.a.r. che sarebbe incorsa in “omessa applicazione gli artt. 134, 135, 142, 143 e 145 del d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42. Violazione del Piano paesistico regionale-illogicità e contraddittorietà manifesta; carenza di istruttoria.”.
In particolare, lamentano che il T.a.r. avrebbe omesso di accertare la violazione del Piano Territoriale Paesistico Regionale che inibirebbe la realizzazione di tale impianto, tenuto anche conto che, in base all’art. 13, comma 2, del decreto legge n. 50 del 2022, il Commissario straordinario non ha alcun potere di derogare alle norme del d. lgs. n. 42 del 2004.
11.1.- Il motivo non è fondato.
Il T.a.r. ha affrontato la questione al punto 2.4, concludendo nel senso dell’infondatezza delle “censure imperniate sul preteso contrasto del Piano commissariale con il Piano Regionale di gestione dei rifiuti (P.R.G.R.) e con il Piano territoriale paesistico regionale (P.T.P.R.), di cui al motivo sub 3, 7 e 9 dei ricorsi n.r. 3587/2023 e n.r. 3721/2023”, evidenziando “che l’art. 13, comma 2, del d.l. n. 50/2022 attribuisce al Commissario straordinario il potere di derogare (addirittura) “…a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, delle disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea”; e quindi sia ad altre disposizioni statali e regionali, sia a fortiori a provvedimenti di pianificazione generale, anche settoriali (P.R.G.R., P.T.P.R.)”.
Gli appellanti lamentano la erroneità di tale conclusione osservando che la salvezza delle disposizioni del d.lgs. n. 42 del 2004 sarebbe finalizzata a garantire la inderogabilità proprio dei piani paesistici che costituiscono il sovraordinato parametro di verifica della legittimità dei piani di settore; opinare diversamente equivarrebbe a porre nel nulla il limite previsto al potere di deroga commissariale e con esso la tutela del paesaggio assicurata dall’art. 9 della Costituzione.
Il Collegio è dell’avviso che il motivo sia infondato e che le motivazioni del T.a.r. debbano essere confermate sebbene integrate nei termini di seguito precisati.
Occorre prendere le mosse dal carattere prioritario del criterio di interpretazione letterale previsto dall’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, da completare, in via sussidiaria, con quello teleologico nonché con quello logico della interpretazione utile.
Il limite al potere di deroga mediante il richiamo del d. lgs. n. 42 del 2004 opera, infatti, dal punto di vista letterale, con riferimento alle sole “disposizioni” del Codice dei beni culturali e del paesaggio e quindi solo a quelle aventi portata direttamente vincolistica, con esclusione quindi delle prescrizioni dei piani paesaggistici che non siano direttamente riconducibili al sistema del Codice stesso.
Ciò non significa svuotare di significato il limite al potere di deroga in materia di tutela del paesaggio bensì circoscriverne la portata alle sole previsioni di vincolo direttamente riconducibili alla legge e, segnatamente, a quelle in materia di tutela dei beni culturali, come identificati dall’art. 134 del d. lgs. n. 42 del 2004 e censiti dal piano paesaggistico ai sensi dell’art. 143, comma 1, lett. b), c), d), ma con esclusione, ad esempio, delle ulteriori prescrizioni di tutela che i piani paesaggistici possono introdurre ai sensi dell’art. 143, comma 1, lettera e) con riferimento alle misure di salvaguardia dei c.d. “ulteriori contesti” ma anche con riferimento alle successive lettere g), h) ed i) con riguardo rispettivamente:
- alla “individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela”;
- alla “individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate”;
- alla “individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualità, a termini dell'articolo 135, comma 3”.
Diversamente il legislatore avrebbe fatto un riferimento diretto alla salvezza anche delle previsioni dei piani paesaggistici tout court.
Il mancato richiamo alla salvezza delle previsioni dei piani paesaggistici nella loro interezza si spiega anche in chiave di interpretazione teleologica e logica, al fine di non rendere la previsione del potere commissariale di deroga sostanzialmente inutile, data l’ampiezza del sistema dei vincoli paesaggistici di regola previsti dalla pianificazione paesaggistica regionale, ai sensi dell’art. 143, comma 1, lettere e), g), h), i), in via ulteriore rispetto alla inderogabile tipizzazione legale dell’art. 134.
Il riferimento alle “disposizioni” del Codice dei beni culturali deve, in definitiva, essere interpretata in senso letterale, al fine di vincolare l’operato del Commissario alle sole misure di tutela individuate direttamente dalla legge o sulla base di norme di legge specifiche, con esclusione quindi di quelle integrative regionali, ulteriori rispetto alla tipizzazione della nozione di bene culturale di cui al menzionato art. 134.
Venendo al caso di specie, da quanto precede discendono le seguenti implicazioni.
In primo luogo, devono ritenersi derogabili l’art. 29, tabella B, punto 4.8.2., e l’art. 33 del P.T.P.R. laddove per il Sistema del Paesaggio Insediativo – “Paesaggio degli Insediamenti in evoluzione” e per il Sistema del Paesaggio delle “Reti, Infrastrutture e Servizi”, in cui ricade l’area di localizzazione prescelta indicano, rispettivamente, tra gli obiettivi di tutela paesaggistica, come “non consentita” la realizzazione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti – compresi dunque anche i “termovalorizzatori”. Non si tratta, infatti, di misure di tutela di beni culturali di cui all’art. 134 del d. lgs. n. 42 del 2004 previsti dal piano, ai sensi e per gli effetti dell’art. 143, comma 1, lett. b), c), d) bensì di indicazioni fornite ai sensi delle successive lettere g) ed i).
A conferma di quanto precede va detto che è lo stesso P.T.P.R. a chiarire all’art. 5, comma 1, delle N.T.A. che “Il PTPR esplica efficacia vincolante esclusivamente nella parte del territorio interessato dai beni paesaggistici di cui all’articolo 134, comma 1, lettere a), b), c), del Codice” e a ribadire, al successivo art. 6, che “1. Nelle porzioni di territorio che non risultano interessate dai beni paesaggistici ai sensi dell’articolo 134, comma 1, lettere a), b), c) del Codice, il PTPR non ha efficacia prescrittiva e costituisce un contributo conoscitivo con valenza propositiva e di indirizzo per l’attività di pianificazione e programmazione della Regione, della Città metropolitana di Roma Capitale, delle Province, dei Comuni e delle loro forme associative, nonché degli altri soggetti interessati dal presente Piano”.
In secondo luogo, con riferimento alla porzione del sito di localizzazione dove è stata accertata la presenza di vincoli archeologici, ai sensi degli artt. 42 e 45 delle N.T.A. del P.T.P.R. (cfr. p. 17 dello studio sui vincoli commissionato alla società GECO s.r.l.), vengono in rilievo previsioni vincolanti ai sensi dell’art. 5 delle N.T.A. del P.T.P.R. e non derogabili da parte del Commissario di governo ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera m) del d. lgs. n. 42 del 2004, trattandosi di disposizione vincolistica prevista direttamente dal Codice dei beni culturali e, come tale, non cedevole rispetto al potere di deroga commissariale.
Ciò, tuttavia, non determina, in alcun modo, profili di illegittimità della ordinanza di individuazione del sito dove localizzare l’inceneritore poiché la presenza di un vincolo di tutela paesaggistica comporterà la necessità di richiedere preventivamente l’autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art. 146 del d. lgs. n. 42 del 2004, come correttamente rilevato nelle conclusioni dello studio della GECO s.r.l. (cfr. p. 30 “L’inquadramento alla luce degli strumenti territoriali su più vasta scala (PTPR e PTPG) individua la presenza di vincoli di natura archeologica di cui tenere conto durante il procedimento autorizzativo e durante i lavori di realizzazione che dovranno prevedere endoprocedimenti amministrativi ed indagini archeologiche di concerto con la Soprintendenza competente;”). E’ nell’ambito del procedimento autorizzatorio che saranno approfonditi i temi posti dalla Soprintendenza archeologica e forniti i chiarimenti richiesti.
Tale conclusione è ulteriormente corroborata dalla previsione speciale, per le opere pubbliche, dell’art. 12 delle N.T.A. del P.T.P.R. secondo cui “1. Le opere pubbliche possono essere consentite anche in deroga alle norme del PTPR in assenza di alternative localizzative e/o progettuali, ferma restando la necessità di verificare, in sede di autorizzazione paesaggistica, la compatibilità di dette opere con gli obiettivi di tutela e di miglioramento della qualità del paesaggio individuati dal PTPR per i beni paesaggistici interessati dalle trasformazioni.”.
E’ dunque priva di fondamento la doglianza secondo cui la mera presenza sul sito prescelto di vincoli paesaggistici, non derogabili dal potere di ordinanza commissariale, comporterebbe di per sé la illegittimità del provvedimento di localizzazione dell’impianto.La stessa deve essere pertanto respinta, sebbene la motivazione del T.a.r. debba essere corretta nei termini sopra indicati.
12.- Con l’undicesimo motivo gli appellanti ripropongono il decimo motivo di ricorso, lamentando la erroneità e comunque la incompletezza della sentenza del T.a.r. che sarebbe incorsa in “Omessa pronuncia sul motivo - travisamento dei fatti - contraddittorietà - carenza dei presupposti - carenza di istruttoria - violazione di legge: omessa applicazione dell’art. 142 del d.lgs n. 42/2004”.
In particolare, lamentano che la localizzazione dell’inceneritore riguarderebbe un’area inidonea, oltre che per il Piano paesistico regionale (come già contestato con il precedente motivo), anche per la prossimità di edifici scolastici, residenziali, vigneti e aziende agricole a colture biologiche e DOC certificate, nonché per il vincolo posto sulle stesse particelle interessate dall’Area di Salvaguardia del campo pozzi “Laurentino”, in violazione dei criteri localizzativi previsti dal piano regionale di gestione dei rifiuti. Il T.a.r. avrebbe ritenuto il motivo infondato richiamando erroneamente i criteri localizzativi previsti dal piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale esposti in una sezione, il paragrafo 24 (da pag. 240 a pag. 254) che non esamina tuttavia la compatibilità del sito prescelto con i criteri localizzativi previsti dal suddetto piano.
12.1.- Il motivo non è fondato.
Sebbene il T.a.r. abbia effettivamente richiamato e ritenuto esaustivi i criteri localizzativi astrattamente previsti nel piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale, ha poi proceduto alla verifica, in concreto, del loro rispetto, richiamando passaggi dello studio a tal fine commissionato alla GECO s.r.l. - che non ha rivenuto fattori ostativi in senso assoluto - ritenendo di poterlo condividere.
Non sussiste pertanto il denunziato vizio di difetto di motivazione.
Nel merito gli appellanti denunciano contraddizioni e lacune nel predetto studio.
In particolare, rilevano i seguenti conflitti con i criteri localizzativi dell’impianto previsti dal piano regionale di gestione dei rifiuti, pedissequamente recepiti dal piano di Roma Capitale, peraltro, nella prospettiva degli appellanti, contraddittoriamente evidenziati nello stesso studio del 2 settembre 2022 commissionato alla società GECO s.r.l.:
a) sarebbe lo stesso studio della GECO srl a riconoscere che il territorio interessato è inserito proprio nell’area coperta da “fattori escludenti – tutela integrale” come da cartografia di cui alla Tav. A allegata alla determina dirigenziale n. 2449/2021, contenente la ricognizione di vincoli in base all’art. 197 del d.lgs. 152/2006;
b) lo studio indicherebbe come fattore escludente la presenza di un’area di espansione residenziale a meno di 1000 metri;
c) il medesimo studio, al paragrafo 4.1., riferirebbe esplicitamente di non avere verificato il fattore - escludente/condizionante - della presenza di corsi d’acqua a meno di 150 metri, peraltro soggetti a tutela paesaggistica ex lege, ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. c) del d. lgs. n. 42 del 2004;
d) infine, lo studio indicherebbe altresì la sussistenza del fattore di attenzione progettuale della presenza di edifici e case sparse a meno di 500 metri.
Il dedotto difetto di istruttoria è infondato per le seguenti ragioni.
In primo luogo, con riguardo alla lett. a, è la stessa GECO s.r.l. nel predetto studio a segnalare la problematica, evidenziando tuttavia una incongruenza, nel senso che successive verifiche condotte avrebbero messo in luce la erroneità della rappresentazione cartografica e l’assenza di fattori escludenti. In particolare, a p. 29 dello studio si afferma che: “Approfondimenti effettuati di concerto con la struttura Commissariale e gli uffici della CMRC hanno ricondotto la perimetrazione riportata nella carta ad un’Area di Salvaguardia del campo pozzi “Laurentino” gestito da ACEA ATO2, la cui proposta di perimetrazione è stata inoltrata ai competenti uffici della Regione Lazio, ma che, allo stato, non risulta ancora essere stata approvata. Di conseguenza, è corretto affermare che, ad oggi, sul sito in esame non insiste alcun Fattore Escludente di Tutela Integrale a differenza di quanto riportato nella cartografia della CMRC”.
Nel motivo di appello si dà conto di tale precisazione che tuttavia non viene contestata e pertanto deve ritenersi esaustiva ed idonea, da un lato, a comprovare la erroneità della perimetrazione cartografica allegata alla determina ricognitiva dei vincoli ex art. 197 d. lgs. n. 152 del 2006, dall’altra ad escludere che dalla stessa possano rinvenirsi fattori che ostino alla localizzazione dell’impianto nel sito prescelto, peraltro esclusi dalla successiva determina dirigenziale n. 3355 del 18 novembre 2022 di perimetrazione dei fattori escludenti a tutela integrale.
In secondo luogo, in relazione alla lettera b, lo studio a p. 25 indica effettivamente la presenza di un’area di espansione residenziale a meno di 1000 metri dal sito prescelto (“Parte della zona su cui insiste il PRINT di espansione residenziale ricade a meno di 1000 metri (Piani di Zona L.167).”) ma non lo considera ostativo alla localizzazione evidenziando tuttavia “Sono considerate le distanze tra i luoghi di deposito dei rifiuti e ospedali, scuole, impianti sportivi, aree per il tempo libero e centri turistici. Per i nuovi impianti, allo scopo di prevenire situazioni di compromissione o grave disagio, si deve tener conto, in funzione della tipologia di impianto e degli impatti generati, della necessità di garantire una distanza minima tra l'area dove vengono svolte le attività di smaltimento e/o recupero e le funzioni sensibili, a cura delle Province in sede di individuazione delle aree idonee/non idonee”.
La valutazione istruttoria è stata correttamente ritenuta come non ostativa nel provvedimento di localizzazione in quanto lo studio ha segnalato che solo “Parte” della zona di espansione residenziale ricade a meno di 1000 metri, circostanza che lascia aperta la possibilità - da verificare in sede progettuale e nell’iter autorizzatorio - di localizzare l’impianto ad una distanza non inferiore a 1000 metri dalle abitazioni insistenti nella predetta area residenziale. E poi pacifico che l’edificio scolastico – pure menzionato dagli appellanti – si trova a circa 1500 metri e, dunque, a una distanza consentita in quanto superiore alla distanza minima di 1000 metri espressamente indicata per le aree di espansione edilizia ed analogicamente applicabile anche agli altri luoghi sensibili (scuole, ospedali ecc….), salve diverse valutazioni istruttorie, in concreto, in sede di autorizzazione dell’impianto.
In terzo luogo, in relazione alla lettera c, quanto alla contestata omessa verifica del rispetto della distanza legale di 150 m. dai corsi d’acqua, la GECO, con la relazione integrativa del 29 settembre 2023, ha chiarito che il “Non” “Verificato” che compare in tabella rappresenta un errore materiale, in quanto il vincolo è stato in realtà verificato e l’indagine non ha evidenziato la presenza di corsi d’acqua, del resto non segnalati neppure dagli appellanti.
Con la memoria del 13 novembre 2023 gli appellanti hanno eccepito l’inammissibilità della predetta relazione integrativa depositata dall’Avvocatura dello Stato in data 19 ottobre 2023 (doc. 16).
L’eccezione è infondata in quanto tale relazione di chiarimenti è datata 29 settembre 2023 e, pertanto, costituisce un documento sopravvenuto alla pubblicazione della sentenza di primo grado, come tale ammissibile anche in appello ai sensi dell’art. 104 c.p.a.;
Infine, in relazione alla lettera d, quanto alla rilevata presenza di edifici e case sparse nel raggio di 500 metri, si tratta di parametro “di attenzione progettuale”, non di fattore escludente, come tale non ostativo alla localizzazione che necessità delle verifiche in sede progettuale ed autorizzativa.
Osserva, infine il Collegio che, rispetto ai criteri localizzativi stabiliti ai sensi dell’art. 197 del d. lgs. n. 152 del 2006 anche la presenza di vincoli archeologici non costituisce di per sé un “fattore escludente a tutela integrale”, bensì un fattore di natura “condizionante”, secondo il Piano di gestione
dei Rifiuti Regionale, i cui criteri di localizzazione sono stati recepiti dal Piano di gestione dei Rifiuti di Roma Capitale.
La circostanza che GECO s.r.l., nella relazione istruttoria commissionata, si sia limitata ad annotare nel corrispondente campo “Verificato” non è elemento sintomatico di un difetto di istruttoria o di difetto di motivazione poiché nelle conclusioni dello studio dà atto che “L’inquadramento alla luce degli strumenti territoriali su più vasta scala (PTPR e PTPG) individua la presenza di vincoli di natura archeologica di cui tenere conto durante il procedimento autorizzativo e durante i lavori di realizzazione che dovranno prevedere endoprocedimenti amministrativi ed indagini archeologiche di concerto con la Soprintendenza competente”.
In definitiva, la presenza di fattori condizionanti (in particolare, la prossimità di luoghi sensibili e l’esistenza di vincoli archeologici) dovrà ulteriormente essere indagata ed approfondita nelle successive fasi del procedimento ma, allo stato, è stata correttamente ritenuta non ostativa al provvedimento di localizzazione impugnato.
Ne discende che il motivo deve essere respinto in quanto infondato nel merito.
13.- Quanto all’atto di intervento proposto ad adiuvandum dai Comuni di Ariccia, Castel Gandolfo e Marino nel ricorso RG 6986 del 2023, osserva il Collegio che le argomentazioni ivi addotte a sostegno dei motivi di appello e sostanzialmente riproduttive degli stessi, devono ritenersi inidonee a confutare le motivazioni addotte per comprovare la infondatezza del gravame principale e pertanto vanno dichiarate infondate e come tali respinte.
E. Infondato è, infine, anche l’appello RG 7742 del 2023.
1.- Con il primo motivo gli appellanti hanno dedotto: “Error in iudicando nella parte in cui non è stata ritenuta fondata la censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del.dl.50/2022 e manifesta illogica, irrazionale e contraddittoria motivazione – violazione dell’art 77 della Costituzione”.
Lamentano che la sentenza del T.a.r. avrebbe erroneamente respinto il motivo relativo alla illegittimità costituzionale dell’art. 13 del decreto legge n. 50 del 2022 dedotta in relazione ad un difetto di omogeneità rispetto all’oggetto del decreto legge, in violazione dell’art. 77, comma 2, della Costituzione e dell’art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988.
1.1.- Il motivo è infondato.
La Corte costituzionale è costante nell’affermare che “l'urgente necessità del provvedere può riguardare anche una pluralità di norme accomunate non solo dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ma anche dall'intento di fronteggiare una situazione straordinaria complessa e variegata, che richiede interventi oggettivamente eterogenei, in quanto afferenti a materie diverse, ma indirizzati tutti all'unico scopo di approntare urgentemente rimedi a tale situazione.
Si tratta, nella specie, di quei "provvedimenti governativi ab origine a contenuto plurimo", che possono in tal senso risultare omogenei rispetto allo scopo” (Corte cost., sent., 13 luglio 2020, n. 149).
Inoltre, è stato chiarito che “il sindacato di questa Corte resta, peraltro, circoscritto ai casi in cui la rottura del nesso tra la situazione di necessità ed urgenza che il Governo mira a fronteggiare e la singola disposizione del decreto-legge risulti evidente, così da connotare quest'ultima come "totalmente "estranea" o addirittura "intrusa", analogamente a quanto avviene con riguardo alle norme aggiunte dalla legge di conversione” (Corte cost., sent., 18 gennaio 2022, n. 8).
Quindi, secondo la giurisprudenza costituzionale un difetto di omogeneità, in violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost., si determina solo quando le disposizioni, siano totalmente “estranee” o addirittura “intruse” (cioè tali da interrompere ogni correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione, sentenza n. 251 del 2014).
Nel caso di specie l’art. 13 in contestazione non si configura quale disposizione totalmente estranea o intrusa.
Il decreto-legge n. 50 del 2022 ha un oggetto molto ampio prevedendo: “Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina”.
La disposizione che attribuisce al Commissario Straordinario per il Giubileo della Chiesa cattolica per il 2025, limitatamente al periodo del relativo mandato e con riferimento al territorio di Roma Capitale, le competenze assegnate alle Regioni ai sensi degli artt. 196 e 208 del d. lgs. n. 152 del 2006, in particolare “la predisposizione e l'adozione del piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale” e “l'approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti”, presenta una chiara ed oggettiva connessione sia con la materia delle “politiche energetiche nazionali” - dato che gli impianti di gestione dei rifiuti, come i termovalorizzatori, possono produrre energia elettrica tramite la combustione e alimentare sistemi di teleriscaldamento - che con la finalità di agevolare la “produttività delle imprese e attrazione degli investimenti”, considerato che la realizzazione dei suddetti impianti, mediante l’istituto della finanza di progetto, richiede l’impiego di ingenti capitali privati e rappresenta pertanto un importante volano per gli investimenti.
Sussiste, dunque, un’indubbia connessione dell’art. 13 del decreto legge n. 50/2022 con le “politiche energetiche nazionali, la produttività delle imprese e l’attrazione degli investimenti”, nell’ambito di un decreto-legge ad oggetto plurimo. La previsione di un piano di investimenti per l’impiantistica nella gestione dei rifiuti, con possibilità di approvare progetti di recupero energetico, è in linea con la finalità, enunciata nelle premesse del decreto legge, “di adottare misure urgenti per contrastare gli effetti economici della grave crisi internazionale in atto in Ucraina anche in ordine allo svolgimento delle attività produttive;” e “contenere il costo … dell’energia”.
Gli appellanti obiettano (cfr. p. 16 appello) che la sentenza di primo grado avrebbe eluso la censura limitandosi ad evidenziare il nesso di omogeneità, indicandolo nel recupero energetico senza considerare che l’impianto di trattamento termico dai rifiuti non si concilia con i presupposti dell’economia circolare recepiti nel c.d. decreto aiuti, dati gli altissimi costi di realizzazione e la gestione degli impianti basati su tecnologie superate ed inefficienti.
La deduzione è infondata in quanto la verifica di omogeneità della disposizione in esame deve essere necessariamente condotta in astratto e non in relazione alle modalità attuative riferite alle scelte in termini di rendimento energetico della soluzione tecnologica ed impiantistica prescelta oltre che di effettiva fruibilità della energia prodotta, nella specie contestate.
Ne segue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale ed il rigetto della censura.
2.- Con un secondo motivo gli appellanti deducono: “Error in iudicando nella parte in cui non è stata ritenuta fondata la censura di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 191 TUA - manifesta illogica, irrazionale e contraddittoria motivazione”.
In particolare, si lamenta la erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il motivo incentrato sul difetto di una previa dichiarazione dello stato di emergenza, ai sensi dell’art. 191 del d.lgs. n. 152 del 2006, con l’aggravante che le attribuzioni demandate non potrebbero considerarsi funzionali alla celebrazione del Giubileo del 2025, poiché il termovalorizzatore dovrebbe entrare in esercizio solo a decorrere da ottobre 2026.
Il motivo è generico e, comunque, non è fondato.
Sul punto il T.a.r. ha osservato che “l’art. 191 disciplina le ordinanze contingibili e urgenti, e i relativi poteri, del Presidente della Giunta regionale, del Presidente della provincia o del Sindaco, concernenti il “ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti”; ne consegue che la disposizione evocata non ha alcuna attinenza con la previsione normativa dell’art. 13 del d.l. n. 50/2022”.
Il Collegio condivide quanto osservato dal T.a.r.: non era necessaria alcune dichiarazione dello stato di emergenza poiché il potere di ordinanza in questione non rinviene la propria base legale nell’art. 191 del d. lgs. n. 152 del 2006 bensì in una norma speciale, l’art. 13 del decreto legge n. 50 del 2022, che non ne subordina l’esercizio ad alcuna dichiarazione dello stato di emergenza.
Peraltro, gli appellanti non muovono alcuna critica alla motivazione del T.a.r., limitandosi a riproporre il motivo di ricorso sicché la censura, prima ancora che infondata è anche inammissibile.
Quanto poi alla legittimità costituzionale della disposizione di legge in questione per avere sottratto la materia alla competenza regionale, gli appellanti anche in questo caso non indicando neppure il parametro costituzionale di riferimento, censurano la sentenza del T.a.r. nella parte in cui ha rilevato un difetto di legittimazione in capo ai ricorrenti ritenendo che solo la Regione abbia titolo per dolersi della limitazione delle proprie competenze.
La questione oltre che inammissibile in quanto generica è comunque manifestamente infondata laddove implicitamente riferita alla violazione dell’art. 120 Cost. e del principio di proporzionalità, per le motivazioni indicate al punto D) 4 cui si rinvia.
Quanto alla correlazione tra l’esercizio temporale dei poteri commissariali e l’entrata in funzione dell’inceneritore la doglianza, oltre che inammissibile per difetto di contestazioni sulla motivazione del T.a.r., è del pari infondata per le motivazioni espresse al punto D) 3 cui si fa rinvio.
Infine, alla luce dei poteri di deroga espressamente conferiti al Commissario di Governo dall’art. 13, comma 2 del decreto legge n. 50 del 2022, è certamente infondata anche l’affermazione per cui “Il rispetto del Piano regionale escluderebbe in radice la possibilità di realizzare l’impianto di trattamento termico dei rifiuti, stante il fatto che (…) esso esclude la realizzazione di nuovi impianti di incenerimento, come peraltro lo esclude anche il PNGR.”. Va poi ribadito che il piano nazionale di gestione dei rifiuti non solo non vieta nuovi inceneritori ma indica tra gli obiettivi proprio quello di ridurre il divario di pianificazione e di dotazione impiantistica tra le diverse Regioni e aree del territorio nazionale, al fine di conseguire la c.d. autosufficienza territoriale (cfr. lett. A paragrafo 13.2. del piano di gestione di Roma Capitale in merito alla verifica di coerenza).
3.- Con il terzo motivo gli appellanti deducono: “. Error in iudicando nella parte in cui non è stata ritenuta fondata la censura di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4 (come recepito dall’art. 179 d.lgs. n.152/2006, come modificato dal d.lgs. n.205/2010) e 13 della direttiva 2008/98/CE, nonché degli artt. 9 e 41 della Costituzione Italiana, nonché degli artt. 181 comma 4,182, 183 TUA e della Direttiva 851/2018/CE. Manifesta illogica, irrazionale e contraddittoria motivazione”.
In particolare, lamentano la erroneità della sentenza del T.a.r. nella parte in cui ha ritenuto insussistente una violazione del principio sulla gerarchia dei rifiuti previsto dall’art. 4 della direttiva 2008/98/CE.
3.1.- Il motivo è infondato per le motivazioni espresse ai punti C) 2 e D) 7 cui si rinvia.
Quanto all’asserito sfavore delle istituzioni comunitarie per tale genere di impianti è sufficiente sottolineare che la Corte di giustizia con sentenza 8 maggio 2019 in C – 305/18 ha escluso che gli artt. 4 e 13 della direttiva 2008/98/CE ostino ad una disposizione quale quella di cui all’art. 35 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, secondo cui “1. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica.”.
La Corte di giustizia, in particolare, ha ritenuto che il principio della “gerarchia dei rifiuti”, quale espresso all’articolo 4 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, e letto alla luce dell’articolo 13 di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che qualifica gli impianti di incenerimento dei rifiuti come “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”, purché tale normativa sia compatibile con le altre disposizioni di detta direttiva che prevedono obblighi più specifici.
Ne segue che la realizzazione di inceneritori non è in contrasto con la direttiva rifiuti, sempre che siano rispettati gli altri obblighi ivi previsti, compreso il principio della gerarchia dei rifiuti che la stessa menzionata disposizione di legge nazionale fa espressamente salvo laddove afferma che la realizzazione di questa tipologia di impianti debba avvenire “nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale”.
La stessa Corte costituzionale, con sentenza 22 novembre 2016, n. 244, chiamata a vagliare la legittimità costituzionale del menzionato art. 35, su specifica doglianza sollevata dalla Regione Veneto, si è espressa nel senso della infondatezza della stessa, in linea con quanto già chiarito da Corte di giustizia UE 8 maggio 2019 sul margine di discrezionalità rimesso agli Stati membri. In particolare, la Regione Veneto aveva dedotto che l’art. 35, comma 1, violerebbe l’art. 3 Cost., in collegamento con gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, e 119 Cost., “in quanto favorirebbe irragionevolmente la prospettiva dell’incenerimento a discapito dell’economia del riciclo; tale violazione, ad avviso della ricorrente, ridonderebbe nella compressione delle proprie competenze”. La Corte ha affermato che “la scelta delle politiche da perseguire e degli strumenti da utilizzare in concreto per superare il ciclico riproporsi dell’emergenza rifiuti, infatti, è necessariamente rimessa allo Stato nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente”. Lo Stato, peraltro, ai sensi del comma 1, agisce «nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale».
Anche la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 26 gennaio 2017 su “Il ruolo della termovalorizzazione nell'economia circolare” non introduce, come si è sottolineato, divieti alla realizzazione dei termovalorizzatori bensì richiama l’attenzione degli Stati membri sulla necessità di ridefinire il ruolo dell’incenerimento dei rifiuti – che rappresenta attualmente l’opzione prevalente della termovalorizzazione – al fine di “evitare che si creino sia ostacoli alla crescita del riciclaggio e del riutilizzo sia sovraccapacità per il trattamento dei rifiuti residui”.
Non risponde al vero poi che il piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale “non prevede il raggiungimento degli obiettivi minimi di recupero di materia stabiliti dalle direttive europee in tema sull’economia circolare e recepiti dalla legge italiana, essendo esclusivamente rivolto al recupero dell’energia sia dai rifiuti organici differenziati sia dai rifiuti urbani indifferenziati, prevedendo la realizzazione di un impianto di trattamento termico per il recupero di energia di 600.000 ton/annue e di due impianti anaerobici”, poiché, come già evidenziato, il piano prevede specifici obiettivi ed azioni puntuali di prevenzione della produzione, oltre che di potenziamento della raccolta differenziata, nella prospettiva del riciclo e del riutilizzo di rifiuti, prima ancora che della loro valorizzazione energetica (cfr. p. 146 – 151 e p.158-182), secondo previsioni realistiche.
Irrilevanti ai fini dell’esame del motivo di appello sono poi i riferimenti:
a) alla assenza di finanziamenti europei per la costruzione di nuovi inceneritori;
b) sugli effetti della sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 4987 del 26 aprile 2022, avente ad oggetto il decreto attuativo dell’art 35 del D. L. 12 settembre 2014, convertito con legge 11 novembre 2014 n. 164 (cd. Decreto Sblocca Italia);
c) il riferimento al fatto che la NextChem, società del gruppo Maire Tecnimont s.p.a., avrebbe ottenuto dall’Unione Europea un finanziamento a fondo perduto di 194 milioni di euro per realizzare un impianto che in gergo viene definito “waste-to-hydrogen di cui non vi sarebbe traccia nel piano di gestione approvato;
d) la circostanza secondo cui il Piano Rifiuti di Roma Capitale del Commissario Straordinario non contemplerebbe impianti di recupero della frazione organica tramite compostaggio, che rientrano nelle operazioni di riciclaggio;
e) alla mancanza di finanziamenti per la realizzazione degli impianti previsti dal piano di gestione soprattutto quelli di preparazione al riutilizzo;
f) alla circostanza per cui l Piano rifiuti di Roma Capitale non sarebbe, in generale, conforme al programma di economia circolare previsto dalla Direttiva 851/2018/CE;
Deve, infatti, ribadirsi “che la gerarchia dei rifiuti costituisce un obiettivo che lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità, non obbligando questi ultimi ad optare per una specifica soluzione di prevenzione e gestione” (Corte di giustizia UE 8 maggio 2019 cit.) mentre non può prospettarsi la tesi di una illegittimità del piano di gestione dei rifiuti sulla scorta di mere “notizie” circa la realizzazione di un nuovo impianto privato, asseritamente non considerato nell’ambito dell’istruttoria finalizzata alla adozione del piano impugnato, di cui gli stessi appellanti riferiscono in termini dubitativi (“Pare” cfr. p. 20 appello) o sulla mancanza di finanziamenti dedicati, la cui indicazione non è richiesta dalla legge nella elaborazione del piano, in questa fase, ma è rimessa ai successivi provvedimenti di approvazione delle relative misure attuative. In ogni caso il piano di gestione prevede, a pag. 223, la stima degli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi e per dare attuazione alle azioni conseguenti.
Quanto alla scelta di optare per gli impianti di trattamento anaerobico si tratta di opzione ampiamente giustificata nel piano in relazione ai profili di impatto ambientale relativi alle emissioni di CO2: lo scenario di piano porta infatti ad una riduzione delle emissioni rispetto allo scenario zero (con raccolta differenziata al 65% e situazione impiantistica corrente) del 92% (emette l’8% rispetto allo Scenario Zero) ciò in quanto le emissioni di metano da discarica offrono un contributo elevato nello scenario zero, in conseguenza del fatto che il 100% dei rifiuti residui è avviato a pre-trattamento, operazione che richiede sempre l'avvio a discarica di rifiuti biodegradabili parzialmente stabilizzati (cfr. p. 196 e ss. del piano di gestione). In ogni caso, il trattamento anaerobico è indicato come opzione preferenziale dalla stessa Commissione UE nella citata comunicazione del 26 gennaio 2017 su “Il ruolo della termovalorizzazione nell'economia circolare” dove si afferma che “In futuro si dovranno prendere maggiormente in considerazione processi quali la digestione anaerobica dei rifiuti biodegradabili, in cui il riciclaggio dei materiali è associato al recupero di energia”.
Non sussiste dunque la denunziata violazione del principio di gerarchia dei rifiuti sicché il motivo dev’essere respinto.
4.- Con il quarto motivo gli appellanti deducono: “Error in procedendo ed in iudicando nella parte in cui non è stata ritenuta fondata l’eccepita violazione e/o falsa applicazione dell’art. 218 TUA e 220 comma 6 ter TUA e Prassi UNI Pdr 132/2022 sulla rendicontazione dei rifiuti; Direttiva 94/62/CE e ss.mm.ii. – omessa e/o contraddittoria motivazione”.
In particolare, si lamenta la omessa motivazione da parte del T.a.r. in relazione alla doglianza con cui hanno dedotto che il Piano rifiuti di Roma Capitale non prenderebbe neppure in considerazione gli obiettivi europei e nazionali sul riciclo degli imballaggi, definiti per ciascun materiale, non operando alcuna stima sulla loro presenza nelle diverse raccolte.
Inoltre, gli impianti di trattamento per il riciclo della carta sarebbero sottostimati, quelli previsti dal piano per il riciclo della plastica sarebbero invece sovrastimati.
4.1.- Il motivo non è fondato.
Il piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale al capitolo 16 contiene una approfondita analisi dei flussi per ciascuna tipologia di rifiuti, anche con riferimento agli imballaggi. Ivi è anche descritto il raccordo tra i flussi e la rete impiantistica prevista. Rilevante è anche il successivo capitolo 17. Non sussistono elementi per ritenere inattendibili le stime riferite agli impianti di riciclo di carta e di plastica.
Non sussiste dunque il dedotto difetto di istruttoria con conseguente infondatezza del motivo.
5.- Con il quinto motivo gli appellanti deducono: “Error in iudicando nella parte in cui non è stato ritenuta fondata la censura di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 comma 7 del Decreto Legislativo 152/2006 e dell’art. 10 L. 241/1990, genericità ed infondatezza della motivazione”.
In particolare, si lamenta che il T.a.r. avrebbe erroneamente omesso di valutare che la redazione del Piano Rifiuti non avrebbe visto, nel corso dell’iter di approvazione della Vas, la pubblicazione di tutte le osservazioni presentate da associazioni, cittadini comitati, comuni e soggetti interessati, in violazione di quanto previsto dall’art. 24, comma 7, del d. lgs. n. 152/2006 e conseguentemente anche dell’art. 10 della legge n. 241/1990.
5.1.- Il motivo non è fondato in quanto gli appellanti indicano un parametro di legittimità - l’art. 24, comma 7, del d. lgs. n. 152/2006 - inconferente in quanto riferito alla distinta fase di valutazione di impatto ambientale e non alla valutazione ambientale strategica.
Inoltre, la difesa erariale (p. 42 e 43 della memoria del 13 novembre 2023) ha comprovato il rispetto degli obblighi di pubblicità in relazione all’art. 17 del d. lgs. n. 152 del 2006 con allegazioni rimaste incontestate.
6.- Con il sesto motivo gli appellanti deducono: “Error in iudicando nella parte in cui non è stata ritenuta fondata la censura di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 comma 4 del Decreto Legislativo 152/2006 - motivazione generica e contraddittoria”.
In particolare, si lamentano la erroneità della sentenza del T.a.r. nella parte in cui ha escluso, nell’ambito del procedimento di VAS, la violazione dell’obbligo di valutare le alternative di piano, anche in relazione al profilo impiantistico.
6.1.- Il motivo è infondato per le motivazioni espresse al punto D) 8 cui si rinvia.
Quanto, in particolare, alla tecnologia prescelta lamentano che il piano sceglie un impianto di trattamento termico con recupero energetico diretto dai rifiuti indifferenziati residui ed annesso impianto con la sperimentale tecnologia per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica (‘carbon capture and storage’), negando pregiudizialmente l’esistenza di trattamenti termici migliori, consolidati, più efficienti e meno costosi, senza considerare che questi trattamenti alternativi sono stati adottati delle Regioni Toscana e Liguria: citano, in particolare, la tecnologia proposta da NextChem per la valorizzazione del syngas per la produzione di combustibili puliti quali l’idrogeno e l’etanolo e gli impianto di Ossicombustione.
La difesa erariale infatti ha dimostrato (cfr. p. 31 – 32 memoria del 13 novembre 2023) con riferimenti puntuali e circostanziati che le tecnologie in questione non hanno ancora raggiunto un livello di sperimentazione sufficiente a valutare uno scenario di piano alternativo “ragionevole”, in termini di effettiva praticabilità, attesa l’entità e la rilevanza dell’investimento per il quale sono richieste scelte impiantistiche collaudate ed accreditate.
Sempre la difesa erariale riferisce che “l'ossicombustione non è indicata tra le Bat nel documento di riferimento (Bref) del 2019” ed è considerata, allo stato, una “tecnologia emergente” suscettibile di applicazione al settore dell’incenerimento dei rifiuti “nel prossimo futuro” (p. 49); tale allegazione è rimasta non contestata dalle appellanti.
Il patrimonio informativo disponibile è dunque insufficiente, non verificato e la lettura scientifica specializzata non è univoca nel senso della efficacia delle soluzioni tecnologiche prospettate (cfr. doc. 17) sicché deve escludersi che gli appellanti abbiano fornito la prova della effettiva astratta configurabilità di possibili scenari alternativi, illegittimamente non prefigurati, con specifico riferimento alle scelte impiantistiche, in relazione ai quali operare le verifiche di impatto ambientale preventivo nell’ambito del procedimento di Vas.
Quanto poi alle soluzioni impiantistiche per il trattamento della frazione organica, le motivazioni a base della scelta di optare per gli impianti di digestione anaerobica in luogo di quelli di compostaggio sono già contenute nella comparazione tra lo scenario zero, esistente, e quello riferimento: non erano dunque prefigurabili scenari alternativi “possibili”, immotivatamente non prefigurati dall’autorità procedente.
Nel merito della problematica occorre ribadire che il piano di gestione dei rifiuti, conformemente alla letteratura scientifica di riferimento (richiamata nella memoria conclusiva della difesa erariale in riferimento ai doc 5 e 6) ha evidenziato che la digestione anaerobica contribuisce sempre a evitare emissioni di gas climalteranti mediante la sostituzione di combustibile fossile (gasolio per trasporto) con il biometano generato dal trattamento dei rifiuti organici da raccolta differenziata e la produzione di compost di qualità. Tali affermazioni non hanno trovato smentita negli atti di causa né nelle difese delle appellanti sicchè la scelta operata deve ritenersi del tutto attendibile, in quanto in linea con la regola scientifica allo stato maggiormente accreditata.
Ne discende che il motivo deve essere respinto in quanto infondato.
7.- Con il settimo motivo gli appellanti deducono: “Error in iudicando nella parte in cui non è stato ritenuta fondata la censura di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie e collegato D.M. 5 settembre 1994 del Ministero della Sanità, rubricato “Elenco delle industrie Insalubri” nonché del Principio di Precauzione ex articolo 174 del Trattato Europeo” nella parte in cui i provvedimenti impugnati prevedevano la localizzazione dell’impianto di trattamento termico del recupero di energia al KM 23.600 di via Ardeatina – territorio del Municipio IX Santa Palomba, non prevista viceversa nel Piano rifiuti di Roma Capitale del Commissario Straordinario di Governo per il Giubileo della Chiesa Cattolica del 2025 sottoposto a VAS – omessa e contraddittoria motivazione”.
In particolare, si lamenta, in primo luogo, la erroneità della sentenza del T.a.r. nella parte in cui non ha rilevato il contrasto del piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale con le previsioni ostative del piano paesaggistico regionale oltre che con i criteri di localizzazione degli impianti di recupero e di smaltimento previsti dal piano di gestione dei rifiuti regionale, come recepiti dal piano di Roma Capitale.
7.1.- Il motivo è infondato per le motivazioni indicate al punto D) 11 e D) 12 cui si rinvia.
7.2.- Gli appellanti lamentano inoltre omessa e/o insufficiente motivazione anche sulle criticità della localizzazione dell’impianto disposta dall’ordinanza n. 8 del 1 dicembre 2022, con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie e collegato D.M. 5 settembre 1994 del Ministero della Sanità, rubricato “Elenco delle industrie Insalubri” oltre che del principio di precauzione di cui all’articolo 174 del Trattato UE nella parte in cui prevede la localizzazione dell’impianto di trattamento termico al KM 23.600 di via Ardeatina – territorio del Municipio IX Santa Palomba, localizzazione non prevista nel Piano rifiuti di Roma sottoposto a VAS, laddove le industrie che rientrano nella “prima classe” – come gli “inceneritori” – devono essere “isolati” nelle campagne e “tenuti lontano dalle abitazioni”.
Tale impianto verrebbe infatti collocato in un luogo non “isolato”, bensì nell’area di Santa Palomba, non solo non espressamente indicata nel piano approvato ma anche inidonea dal punto di vista urbanistico.
7.2.1.- Il motivo è infondato poiché, una volta accertato il rispetto dei criteri localizzativi previsti dal piano (che peraltro contemplano misure specifiche di salvaguardia dei luoghi sensibili quali abitazioni, scuole, ospedali), ogni possibile eventuale profilo di contrasto con l’art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie e con il collegato D.M. 5 settembre 1994 del Ministero della Sanità, come pure la eventuale non conformità della localizzazione alle previsioni urbanistiche di zona, sono derogabili in forza dell’art. 13, comma 2 del decreto legge n. 50 del 2022, mentre gli impatti dell’impianto sulle matrici ambientali e sulla salute umana (sui si soffermano a p. 31-35 dell’appello) saranno ulteriormente approfondite in sede di Via, come correttamente rilevato anche dal T.a.r. Nessun obbligo di legge vi era infine di prevedere la specifica localizzazione dell’impianto già nel piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale.
8.- Alla luce delle motivazioni che precedono non sono sussistenti i vizi di legittimità prospettati dalle parti appellanti relativamente alla procedura di approvazione del piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale da parte del Commissario Straordinario di Governo e di localizzazione del sito per la realizzazione dell’impianto di termovalorizzazione in località Sanata Palomba. Rimane fermo che alcune questioni concernenti profili di tutela dell’ambiente, della salute e del patrimonio culturale non rilevanti in questa fase della procedura dovranno essere oggetto di attenta valutazione e monitoraggio da parte delle Autorità competenti nello svolgimento delle ulteriori fasi di autorizzazione del progetto.
Pertanto, tutti gli appelli devono essere respinti e la sentenza appellata va confermata con le precisioni di cui in motivazione che, a prescindere dai rinvii interni su specifiche censure, devono essere lette unitariamente in quanto complessivamente rese in risposta a ciascuno dei quattro appelli.
9.- Le spese di lite del grado possono essere compensate tra tutte le parti costituite in ragione della novità e della complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, riuniti gli appelli:
a) rigetta i ricorsi in appello indicati in epigrafe;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente FF
Luca Lamberti, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore
Rosario Carrano, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Luca Monteferrante | Vincenzo Lopilato | |
IL SEGRETARIO