• Sentenze Ente: Consiglio di Stato

Pubblicato il 25/03/2019

N. 01946/2019REG.PROV.COLL.

N. 08492/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sull’appello n. 8492 del 2010, proposto dalla s.r.l. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS);

contro

Il Comune di Genova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS);
la Provincia di Genova, cui è succeduta la Città Metropolitana di Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS);

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 1937/2010, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Genova e della Provincia di Genova;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2019 il pres. L(OMISSIS);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Col ricorso di primo grado n. 431 del 2009 (proposto al TAR per la Liguria), la società appellante, proprietaria di un edificio nel territorio del Comune di Genova, ha impugnato:

- la delibera del consiglio comunale n. 22 del 2008, avente per oggetto le ‘controdeduzioni e accettazione dei rilievi formulati dalla Provincia di Genova in merito alla deliberazione c.c. n. 35 35/2007 e deliberazione g.c. n. 650 del 2007’, nonché la delibera della giunta comunale n. 650 del 2007 e la nota comunale di data 1° aprile 2009;

- l’atto della Provincia di Genova n. 7285 del 31 dicembre 2007 (pubblicata all’albo pretorio provinciale dal 31 dicembre 2007 al 15 gennaio 2008, cui poi è seguita la medesima delibera comunale n. 22 del 2008).

2. Il TAR, con la sentenza n. 1937 del 2010, ha dichiarato il ricorso in parte irricevibile e in parte inammissibile, con la condanna al pagamento delle spese del giudizio.

3. Con l’appello in esame, la società ha ricostruito i fatti che hanno condotto al presente grado del giudizio (v. pp. 1-12), ha contestato le statuizioni con cui il TAR ha dichiarato in parte irricevibile e in parte inammissibile il ricorso di primo grado (v. pp. 12-17) ed ha riproposto le censure formulate in primo grado (v. pp. 17-29).

4. Ritiene il Collegio che l’appello vada respinto e che vada confermata la sentenza impugnata.

5. Con una specifica statuizione, il TAR ha dichiarato tardivo il ricorso di primo grado, nella parte in cui è stata impugnata la delibera consiliare n. 22 del 2008, di ritiro di una variante già in precedenza approvata, rilevando che vi è stata una variante generale, con la conseguente applicazione del principio per il quale il termine per l’impugnazione comincia a decorrere dalla pubblicazione degli atti ‘ai rispettivi atti pretori’ (trattandosi di atti emessi sia dal Comune di Genova che dalla Provincia di Genova).

L’appellante non ha contestato la statuizione secondo cui, quando vi è una ‘variante generale’, il termine di impugnazione comincia a decorrere dalla pubblicazione degli atti all’albo pretorio, ed ha dedotto al riguardo che la sentenza impugnata:

a) avrebbe errato nel qualificare la delibera come atto generale di disciplina del territorio, perché si sarebbe trattato di ‘un coacervo di varianti parziali relative a singole aree, adottata su istanza dei privati interessati al fine di correggere gli errori singoli e singolari contenuti nel PUC’:

b) avrebbe errato anche nel ritenere che la legge regionale n. 36 del 1997 non avrebbe reso necessaria la partecipazione degli interessati.

Ritiene il Collegio che tali deduzioni risultano infondate e vadano respinte.

Rilevato che la stessa società appellante ha richiamato la giurisprudenza che si è occupata della distinzione tra la variante ‘generale’ e quella ‘particolare’ (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n, 1904 del 1998; Sez. V, n. 36 del 2007; Sez. VI, n. 4326 del 2007 e n. 5105 del 2007), nella specie, contrariamente a quanto è stato dedotto, vi è stata una vera e propria variante generale.

La variante ‘parziale’ o ‘puntuale’ è quella che riguarda l’area del soggetto che intende impugnarla o anche le aree oggetto di una ‘modificazione finalizzata’ al perseguimento di una determinata finalità, specificamente riferibile ad una specifica parte del territorio comunale.

Tale principio risulta corroborato dall’art. 11, comma 1, lettera a), del testo unico sugli espropri, il quale ha previsto che va trasmesso l’avviso di avvio del procedimento quando si tratti di una variante allo strumento urbanistico, volta alla apposizione di un vincolo preordinato all’esproprio, per la realizzazione di una ‘singola opera pubblica’.

La variante va considerata ‘generale’, invece, quando riguarda una pluralità di aree distinte, situate in diverse parti del territorio comunale: in tal caso, in linea di principio sono diverse le regole procedimentali sulla partecipazione degli interessati e diventa applicabile il suesposto principio, per il quale il termine di impugnazione degli atti comincia a decorrere dalla data di pubblicazione, con le modalità previste dalla legge.

Nella specie, proprio perché la variante in questione ha riguardato un ‘coacervo’ di beni (come rilevato dall’appellante), non risultando che questi abbiano riguardato il perseguimento di uno specifico e ben localizzato interesse pubblico, si deve ritenere che vi si è stata una variante generale, con la conseguente tardività del ricorso di primo grado, rispetto alla data di pubblicazione degli atti.

Quanto al prospettato rilievo della legge regionale n. 36 del 1997, che avrebbe previsto la partecipazione degli interessati, il TAR ha evidenziato che dal suo art. 44, che pure ha consentito la proposizione di una iniziativa di variante, non si possono desumere regole sulla notifica individuale all’interessato dell’atto conclusivo lesivo.

L’appellante ha contestato tale statuizione, rilevando che, poiché il procedimento è stato attivato con la sua istanza, l’Amministrazione avrebbe dovuto notificare il provvedimento finale lesivo.

Ritiene il Collegio che anche tale profilo del motivo d’appello vada respinto.

Come ha correttamente rilevato la sentenza impugnata, dalla legge regionale n. 36 del 1997 non si desume la regola per cui va notificato l’atto conclusivo del procedimento: l’art. 44 riguarda le varianti generali (come correttamente rilevato dalla memoria difensiva del Comune), le quali non possono che considerarsi ‘puntuali’ ne confronti dei singoli destinatari, ma in quanto tali sono sottoposte alla relativa disciplina in tema di pubblicazioni.

Poiché la normativa statale ed anche quella di cui alla legge regionale n. 36 del 1997 non hanno previsto la notifica degli atti concernenti la variante generale, anche sotto tale aspetto la doglianza va respinta.

6. Per la restante parte, il TAR ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, poiché è stato proposto contro atti infraprocedimentali (la determinazione n. 7285 del 2007 e il voto del c.t.u.p. n. 615 del 2007).

L’appellante ha dedotto che tali atti non si possono considerare infraprocedimentali, sicché la statuizione del TAR sulla parziale inammissibilità del ricorso sarebbe erronea.

Ritiene al riguardo il Collegio che rileva la deduzione della Città metropolitana di Genova, contenuta a p. 9 della sua memoria depositata in data 18 febbraio 2019.

La Città metropolitana ha osservato che la determinazione provinciale n. 7285 del 31 dicembre 2007 (e l’allegato voto di data 20 dicembre 2007 del Comitato tecnico urbanistico provinciale) è stata affissa all’albo pretorio della Provincia dal 31 dicembre al 15 gennaio 2008, mentre il ricorso di primo grado è stato notificato alla medesima Provincia in data 14 aprile 2009, oltre il termine ordinario di impugnazione.

Ciò comporta che risulta priva di interesse la censura dell’appellante, dal momento che, pur se si dovessero ritenere immediatamente lesivi i medesimi atti (quali conclusivi del procedimento, come prospettato dalla stessa appellante), comunque il ricorso di primo grado va considerato tardivo nella sua integralità.

7. Per le ragioni che precedono, l’appello nel suo complesso va respinto.

8. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) respinge l’appello n. 8492 del 2018.

Compensa tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2019, con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente, Estensore

Fabio Taormina, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere

Daniela Di Carlo, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere

 

   

 

   

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

   

Luigi Maruotti

   

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

 

 

 

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