Il pesce d’oro…forse

Questa è una storia che nasce lontano…molto lontano. Dai piccoli laghetti, dai fiumi e dai canali in cui, bambino, pescavo le prime sognate prede. Piccole prede, ma giganti nella mente di un bambino. Le uscite all’alba, in bicicletta prima, in motorino poi, ed i rientri, con lo sguardo soddisfatto, la preda agognata nel “cerignolo” ed un nuovo sogno in tasca. Quel sogno che si riaccendeva ad ogni nuova serale attesa, ad ogni nuova sveglia all’alba. Ed ogni nuovo sogno, aveva sempre come protagonista un nuovo “pesce d’oro”.

Arrivarono poi i primi film americani ai quali, bambino, ero poco interessato. Eppure, vi era spesso qualcosa che attirava la mia attenzione. Solitamente una triste stanza d’ufficio, con il classico arredamento anni ’70 americano, una scrivania in legno massiccio, un tappeto a pelo alto, delle improbabili opere d’arte alle pareti, un uomo in cravatta che parlava al telefono e sullo sfondo, su di una parete, onnipresente, la foto o il feretro di una memorabile cattura. Di prede impensabili per i miei laghetti e fiumi, che rendevano impraticabile il confronto futuro con la mia nuova preda, ma che esaltavano i sogni e le visioni di pesci d’oro sempre più giganti.

Anni, molti anni sono passati, ma tutto è rimasto uguale, il sogno si riaccende ad ogni serale attesa, e riparte ad ogni sveglia all’alba. Non si va più in bicicletta, non si va più in motorino. Ora con la macchina, si raggiunge il rimessaggio, si monta in barca e si punta il largo, si punta l’orizzonte. Sono cambiati i mezzi, ma tutto, o quasi, è rimasto lo stesso. Una cosa, significativa, è cambiata. Il pesce d’oro, ha assunto nuove dimensioni, nuove forme. E nel mare della nostra città il pesce d’oro può avere tanti nomi e tante forme, ma il re dei pesci d’oro, è lui. L’atteso, sospirato e sognato tonno. Un anno intero si attende il suo arrivo. Come nei sogni, si attende affinchè si avverino, si può fare qualcosa per agevolarli, ma si deve obbligatoriamente attendere. Da una vita, io che non ero ancora mai andato a pesca di tonni. Nel frattempo prepararsi, preparare tutto. Ogni minimo dettaglio, perché nel momento decisivo, ogni minimo dettaglio può essere decisivo. Dopo tanto attendere, finalmente sembrava giunta l’ora. Agosto. Finalmente è giunto, e con lui, forse, il pesce d’oro. Sicuramente tante attese serali e tante sveglie all’alba, da conciliare con la vita quotidiana, con il lavoro, con la famiglia, ma che arriveranno. E così l’attesa di un anno, si trasforma in un attesa di giorni, il primo, libero per poter andare a rincorrere il pesce d’oro.  

Nel frattempo giunge l’imprevisto. Il primo giorno libero sarà anche l’unico possibile. L’ordinanza ministeriale di chiusura anticipata della pesca del tonno rende quell’unico giorno disponibile, quell’unica possibilità disponibile, una irripetibile possibilità, per quest’anno. Il tutto diventa allora veramente unico, come la possibilità di sopravvivenza del tonno, irreversibile.

L’appuntamento con il socio ed un suo amico, al solito, è all’alba. E come poteva essere altrimenti. Non importa se i tonni, lo sappiamo, arrivano con il sole alto, partire all’alba è d’obbligo, non si può cambiare l’abitudine di una vita, non si può rischiare di tralasciare qualcosa, ed il tempo quindi, è utile. Per ricontrollare, per rimediare ad un eventuale imprevisto, per rischiare di non avere tempo. Perché non si può rischiare di arrivare in ritardo all’appuntamento di una vita.

Si scruta il cielo, si scruta il mare. Tutto sembra perfetto. Si carica il tutto, si ricontrolla il tutto e di aver caricato tutto, si volge lo sguardo all’orizzonte e dopo pochi giri di elica, con il sole, anche tutto il resto è alle nostre spalle. Ognuno nel suo silenzio, ognuno in compagnia dei propri pensieri. Davanti a noi solo il tempo che ancora ci divide da quell’atteso, ipotetico, sognato incontro. Ma per andargli incontro occorre ancora attendere. E mentre si attende, mettere in pratica le pagine e pagine lette. In parte lo si è già fatto. Con la scelta delle canne, dei mulinelli, dei nodi, degli ami, del punto di pesca, etc., etc. etc.. Ma ancora non è finita. Ora occorre individuare il punto esatto in cui è possibile incontrarlo. E il mare è grande, ma non te ne rendi conto fin quando non ci sei in mezzo, fin quando intorno a te c’è una distesa d’acqua senza, all’apparenza, nessun riferimento. Ma dopo pagine e pagine di forum, articoli e passaparola, no, sai che non è tutto uguale. Sai che se vuoi incontrarlo devi farti trovare in quell’unico punto preciso, in quell’ora precisa. E devi aver svolto i compiti a regola d’arte. Pasturare, innescare, lenze in scia e a diverse profondità. E allora, tutte quelle pagine, tutte quelle parole, assumono una forma. Il punto è determinato, con ferrea certezza, l’assetto prende forma. E inizia l’attesa, mentre il lavoro continua. Chi scongela, chi taglia, chi getta in acqua, una dopo l’altra, continuativamente, il pranzo adescante per il pesce d’oro. Tutto si svolge in una calma apparente. Ognuno finge sicurezza, ma io lo so. E’ l’incertezza, l’ansia, la vera regina di tutti quei momenti. E’ palpabile, avvolge tutto. E allora il pensiero, di nuovo, ripercorre tutto. Gli ami, i fili, i nodi, etc., etc., etc.. Passa un’ora. Giustificata dall’arrivo anticipato. Ne passa un’altra in assenza di segnali. Il dubbio che il pesce d’oro ci stia attendendo altrove comincia ad aleggiare nelle ipotesi. Dopo che hai fatto tutto e ricontrollato tutto, l’unica spiegazione è che sei nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Sei troppo sicuro di aver fatto tutto bene, per cui si, è l’unica spiegazione. E allora, inutile attendere, bisogna capire dove ci attende. Bisogna andargli incontro. I sogni ti vengono incontro, ma devi agevolarli per farli avverare.

Lenze in barca e via. Di fronte a noi di nuovo solo l’orizzonte, tutto il resto, ancora una volta, è dietro di noi. Ancora una volta, nel silenzio dei propri pensieri. Ma questa volta il silenzio dei propri pensieri ha una deriva unica, precisa, indicata dal sogno. Dov’è che ci attende il pesce d’oro? Il silenzio si rompe. Le singole certezze vacillano, e allora si cerca conforto nella tesi altrui. Che il fato avesse riposto l’indizio fondamentale, necessario, non nella nostra conoscenza ma in quella del compagno di bordo, sarebbe una disdetta. E allora si discute, ci si interroga, si formulano pindariche tesi basate su alchemiche deduzioni. Ma alla fine si decide. Si deve decidere. Di nuovo. Con ferrea certezza. E il rito ricomincia. La curva, la scia, la calata delle lenze e…via. Di nuovo in pesca, di nuovo in attesa. Tutto come prima. Tutto controllando tutto e poi ricontrollando tutto. Inizia l’attesa. Il silenzio sopraggiunge di nuovo quasi a placare gli animi, quasi a volerci ridare una breve calma. Apparente, simulata da un silenzio che non copre il rumore dei propri pensieri. Dei dubbi che ancora si rincorrono. Ma il sopraggiunto silenzio, lentamente, porta la mente a concentrarsi sui suoni. Sul quel suono, inequivocabile, che indicherà, d’un tratto, che quello era il punto preciso, che lì ci attendeva il pesce d’oro. E allora i pensieri si fanno lontani, man mano, si dileguano. Lo sguardo si placa. Non scruta. Non osserva. Tutto intorno, sono solo suoni. Ed ognuno che simula, ci allerta. Un sobbalzo ad ogni minimo giro di manovella. Il cicalino del resto, è ignaro di chi lo fa cantare. E’ incolpevole. E il pesce d’oro, non è lì a farlo suonare. Passa un’ora. Ne passano due. Non so più quante ne siano passate in quell’assordante silenzio rotto solo da improbabili arrivi. Ma lentamente, gli sguardi si riaccendono, e con essi, si rompe il silenzio. Questa volta, rotto da dubbi. L’incertezza prende il sopravvento. Le pagine e pagine lette, i consigli giunti da ogni dove, le poche certezze, si mescolano, ruotano nella mente e si disperdono. Non c’è più teoria, non c’è più metodo. La giornata volge al termine e con essa le ultime indomite speranze. Le ultime ferree certezze. Eppure, non ci vuole arrendere. L’ultima certezza, quella che per anni ci ha fatto sognare di sera, e svegliare all’alba, è sempre lì. Inamovibile. Il pesce d’oro è lì, da qualche parte in questo immenso mare. Siamo noi che non gli siamo andati incontro. Lui è incolpevole.

Brevi attimi di discussione, nella speranza che il compagno di bordo abbia una risposta. Nella speranza che a lui sia rimasta qualche certezza. La confusione si mescola a confusione. Non ci sono risposte. Non ci sono ipotesi. L’unica cosa che si può fare, è tentare di trovare la strada giusta. Quella che ci conduca a lui. E quindi, di nuovo, lenze in barca, scia dietro di noi, e via. Ma via dove. Non ci conduce più l’incosciente certezza di teoriche acquisizioni. Non ci conduce più nessuna alchemica deduzione. Alla fine, ci si arresta e basta. Il rito ricomincia. Questa volta però, non è come le volte precedenti. La fredda e lucida incoscienza ha lasciato il posto ad una inamovibile determinazione. I movimenti non sono più rituali. La giornata si spinge verso il suo culmine e sul suo terminare si trascina via le speranze e la lucidità. Rende quegli ultimi attimi carichi di tutta una vita. Le lenze sono in acqua ma la nostra concentrazione non è con loro. La confusione regna sovrana e si diverte a mischiare i nostri pensieri, e noi con loro.

Ma come spesso accade, la vita si rende reale mentre sei intento a fare altro. Un sibilo lento, quasi svogliato, ma inequivocabile interrompe il silenzio e cala sulla barca un freddo glaciale. In brevi attimi, come solerti soldati, ognuno è al suo posto. Ognuno di noi aveva ricevuto un comando da quello stridente suono, e ognuno di noi lo aveva eseguito.

Il pesce d’oro, era lì che ci attendeva, in quel preciso momento. Stavolta, noi, c’eravamo.

In brevi attimi, di nuovo, tutto era scomparso. Ora c’era solo lui, li sotto, da qualche parte, dall’altra parte della lenza, che voleva misurarci. Che voleva verificare se eravamo degni della sua resa. Il combattimento ha inizio e con esso ognuno si riprende i suoi pensieri. Lo sguardo che finge sicurezza e cerca di convincersi che si, ce la faremo, lo porteremo a bordo, ma intanto ripensa a tutti i dettagli, il nodo, il terminale, la frizione, devo stringere, devo allentare. Niente è certo. Tutto può accadere. Ma è proprio tutto lì. In quel tutto probabile che, prima o poi, diverrà irreversibile. Per noi, e per lui.

Recuperi e virate, fughe e brevi calme si susseguono per un’ora, circa, chissà. In quei momenti il tempo ha un sapore diverso. In quei momenti il tempo non è conteggiato. Non è sottratto alla vita. I pensieri continuano a volare nell’attesa di avere il responso finale. La paura ci siede accanto. Ci osserva. Ci ricorda che potremmo non farcela. Che potremmo anche non riuscire nemmeno a portarlo sul pelo dell’acqua, solo un’istante, solo per poterlo vedere. Solo per poterlo raccontare. Ma è quella stessa paura che ci è amica. Che, di nuovo, ci fa controllare tutto e poi ricontrollare tutto. Ogni virata, ogni giro di manovella, ogni stretta di frizione.

Fin quando, la sua ombra, rompe i riflessi bluastri della colonna d’acqua sotto di noi. In quel preciso istante, una sensazione implacabile ti avvolge. La sensazione che forse si, ce la possiamo fare. Ma anche il terrore, palpabile, di vederlo andar via. La disperazione che solo la perdita di qualcosa che si è avuto può dare. E noi, ce l’abbiamo, è lì, sotto di noi, dall’altro capo della lenza. Quasi a volerci scrutare prima di decidere se si, siamo degni di lui. E lo siamo. Si lascia trasportare a noi per ricevere l’ultimo, mortale, colpo. Come un re che china la testa al suo vincitore. Ma è ancora troppo presto per svuotare la mente. L’attimo finale, quello dopo il quale vedi la vita andar via, non è ancora giunto. Il re potrebbe decidere, dopo averci scrutato, che non siamo degni, e con un colpo di pinna ripuntare il blu profondo. Brevi attimi di concitazione generale, di confusione. L’issata a bordo è l’ultimo estremo atto che sancisce l’irreversibile esito. Ma non c’è più libraggio di canna o lenza, non ci sono nodi che sopperiscano. Ci sono le mani nude che lo afferrano e lo issano a bordo. Lui è lì che attende e tu sai che non è vinto fin quando non è vinto. Fin quando guardandolo, intorno a lui continua ad esserci il suo amico, il blu profondo. E allora prendi fiato, non pensi più a nulla, e tiri. Con tutta la forza che hai, ed anche con quella che non pensavi di avere. E’ a bordo. Tutto, nonostante tutto, ha seguito il suo corso. La mente si svuota, i nervi si distendono, una incontrollabile sensazione di svuotamento si espande. Lui, re degli spazi immensi del mare, ora lì, disteso nel ristretto spazio della barca, sembra osservarmi. Sono confuso da tanta bellezza. La sua bellezza quasi mi affligge. Ma del resto…è il pesce d’oro…forse.

No comments

Leave your comment

In reply to Some User